Cittα del Messico - costruita sulle macerie della capitale dellÆimpero azteco, Tenochtitlßn - Φ cresciuta rapidamente fino a diventare una gigantesca metropoli cosmopolita con circa 20 milioni di abitanti: una cittα mostruosa e inafferrabile, affascinante e vitale, assordante ed eclettica.
La sua storia Φ la storia del Messico, sempre in bilico tra grandiositα e modestia, tra ricchezza e miseria, tra pace e guerra. La furia distruttiva dei Conquistadores ha cancellato per sempre lÆimmagine dellÆantica cittα che doveva apparire come un sogno fatto di pietra in mezzo alle acque della laguna di Texcoco. Cittα del Messico Φ poi rinata, altrettanto sontuosa, influenzata dal gusto europeo, ma capace di far riemergere lÆidentitα india che si compone di un mosaico di popoli dalla memoria e dal carattere fortissimi.
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I Mexica, o Aztechi, furono lÆultimo popolo di lingua nßhuatl che dalle regioni settentrionali emigrarono verso gli Altipiani centrali. Guidati dal Dio della Guerra e del Sole, Huitzilopochtli, erano partiti dalla loro mitica patria Aztlßn - öluogo biancoö - nel 1116 d.C. per giungere nel 1280 nella Valle del Messico, occupata in gran parte da nomadi Chichimechi diventati sedentari e dai Tepanechi che vivevano sulle rive del Lago Texcoco, tra Tenayuca e Cuicuilco.
In cambio di tributi lacustri i Tepanechi permisero ai Mexica di stabilirsi su un isolotto del lago. Qui il Dio Huitzilopochtli si manifest≥ ai Mexica con una visione: avrebbero dovuto costruire la loro nuova patria lα dove unÆaquila con un serpente tra gli artigli si fosse posata su un cactus.
E cos∞ fu: sullo spazio ristretto dellÆisolotto gli Aztechi fondarono Tenochtitlßn - ôluogo del fiore di cactusö - che diventerα la capitale di un grande impero, il pi∙ potente di tutta la Mesoamerica.
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Alla ricerca di una legittimazione del loro potere, gli Aztechi guardarono alla civiltα dei Toltechi, poichΦ uno dei loro primi sovrani, Acamapichtli (vissuto alla fine del XIII secolo), faceva risalire la propria ascendenza a Quetzalc≤atl, il mitico re-sacerdote della capitale tolteca Tula.
Gli annosi e aspri conflitti con le trib∙ vicine vennero sedati nel 1428, quando gli Aztechi crearono il patto della ôTriplice Alleanzaö tra Tenochtitlßn, Texcoco e Tlacopßn. Nel nome della ôTriplice Alleanzaö venne dapprima eliminato il regno dei Tepanechi e, a partire dal 1440, sotto il dominio del sovrano Moctezuma I - antenato del pi∙ celebre Moctezuma II - ebbe inizio lÆinarrestabile ascesa degli Aztechi come padroni di un impero immenso. In breve tempo invasero tutto lÆAltopiano del Messico, le terre dei Mixtechi e le regioni del Golfo, obbligando le popolazioni a pesanti tributi: tonnellate di piume, pietre preziose, cotone, cacao ed ogni bene materiale e agricolo necessario al sostentamento di Tenochtitlßn. Le gloriose imprese di quellÆepoca furono incise sulla ôPietra di Tizocö, un pesante disco di basalto, scolpito nel 1483.
Un impero di cos∞ vaste proporzioni era difficile da controllare e sempre pi∙ spesso gli Aztechi erano costretti a spedizioni militari punitive per reprimere le popolazioni ribelli, dissanguate dai tributi e dalle vessazioni dei Signori di Tenochtitlßn.
Con la salita al potere di Moctezuma II nel 1503, la crisi interna si acutizz≥, i privilegi dellÆaristocrazia monopolizzarono lÆintero apparato amministrativo, si inasprirono le guerre contro i popoli ostili ed i confini vennero estesi fino alla Costa del Pacifico e alla Valle di Oaxaca. Al momento dellÆarrivo dei Conquistadores nel 1519 lÆimpero azteco copriva pi∙ di 200.000 chilometri quadrati ed era abitato da milioni di persone.
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Intorno al 1337 inizi≥ la costruzione del grande Tempio dedicato al Dio della Guerra, Huitzilopochtli, e al Dio della Pioggia, Tlaloc, che si trova - oggi come allora - nel cuore della cittα. La Piramide rappresentava la visione cosmogonica degli Aztechi di cui il Tempio era il nucleo centrale, posto tra i quattro punti cardinali - nord ôcoltelloö, sud ôconiglioö, est ôcannaö e ovest ôcasaö -, tra i tredici Cieli del Mondo della Dualitα ôOmeyocanö e tra i nove livelli dellÆInframondo ôMictlanö.
Il Tempio simboleggiava inoltre il mito della nascita di Huitzilopochtli: la Madre Terra Coatlicue, dopo aver partorito 400 stelle (le divinitα minori) e la Dea Luna Coyolxauhqui, fece voto di castitα, ma venne ingravidata a sua insaputa da una palla di piume. I figli, insieme alla sorella Luna, decisero di ucciderla, ma uno di loro avvert∞ il fratello Huitzilopochtli ancora in grembo, che decise di nascere allÆistante e di vendicare lÆonore della madre, uccidendo la Luna Coyolxauhqui, smembrandola. Questo mito Φ alla base dellÆallegoria del sole che per poter sorgere caccia le stelle e la luna ed Φ legato ai sacrifici di sangue e al sacro rito del Gioco della Palla. LÆimmagine della Dea smembrata venne incisa su una gigantesca lastra rotonda che probabilmente si trovava ai piedi della Piramide ed Φ ora esposta nel Museo del Templo Mayor.
Solo leggendo le cronache e guardando gli antichi codici si pu≥ avere unÆidea della grandiositα del Tempio che venne ricostruito dagli Aztechi quattordici volte e poi raso al suolo dai Conquistadores. Gli scavi della Piramide vennero condotti dal grande archeologo messicano Eduardo Matos-Moctezuma, il quale ha individuato 78 edifici e templi e ha portato alla luce molte sculture di guerrieri, serpenti, aquile e rospi, un grande ôtzompantliö (il ômuro dei craniö), sette statue addossate alle gradinate del Tempio - che forse rappresentavano i fratelli di Huitzilopochtli - e pi∙ di 7000 oggetti votivi, in parte aztechi ed in parte provenienti dalle popolazioni assoggettate.
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Quando nasceva un bambino la nutrice gli cantava inni di guerra, augurandogli che un giorno avesse ôil privilegio di morire colpito da un coltello di ossidianaö, poichΦ il sangue del suo cuore, offerto sullÆaltare di Huitzilopochtli, avrebbe rigenerato lÆintero cosmo.
Ogni anno centinaia di vittime dovevano versare il loro sangue per nutrire il Sole che, per risorgere, aveva bisogno di quella linfa vitale. Per placare lÆira degli Dei, che si manifestava con carestie, terremoti e inondazioni disastrose, gli Aztechi organizzavano la cosiddetta ôGuerra dei Fioriö, ovvero dei combattimenti programmati con i vassalli di Tlaxcala al fine di allenare i guerrieri, di affermare la supremazia degli Aztechi ed anche per procurarsi il maggior numero di prigionieri da offrire in sacrificio.
Nelle grandi ricorrenze sacre lÆolocausto poteva durare ininterrottamente per quattro giorni e si crede che annualmente fossero eseguiti pi∙ di 20.000 sacrifici umani. Alle vittime di basso rango veniva strappato il cuore, il loro teschio veniva appeso ad una rastrelliera (lo ôtzompantliö) ed il corpo tagliato a pezzi e mangiato: la coscia spettava al re-sacerdote, mentre il resto del corpo veniva distribuito tra i parenti del guerriero che aveva catturato la vittima. Il prigoniero di alto rango veniva invece portato al Tempio del Dio Xipe T≤tec - il ôDio scorticatoö, padrone della vegetazione e della rinascita - e l∞, legato ad una pietra sacrificale, doveva combattere con armi spuntate contro guerrieri armati di tutto punto prima che gli venisse inciso il torace con un coltello di ossidiana, quindi strappato il cuore e bruciato ed il suo sangue sparso sui templi. La pelle scuoiata della vittima veniva indossata dai sacerdoti per lunghi giorni ed infine seppellita ai piedi del Tempio.
I sacrifici dei bambini erano invece dedicati al Dio della Pioggia, Tlaloc: i maschi venivano uccisi sulle montagne vicino alla cittα ed il loro sangue sparso sulla statua del Dio, mentre le femmine, vestite dÆazzurro, venivano sgozzate e gettate nelle acque del Lago Texcoco.
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Sotto il regno di Moctezuma II venne scolpito un gigantesco disco di pietra di 3,60 metri di diametro, detto ôPiedra del Solö o anche ôCalendario aztecoö, ma che in realtα raffigura la cosmogonia di questo popolo.
La ôPietra del Soleö, che reca al centro il volto del Dio solare Tonatiuh, venne scoperta nel 1790 sotto il pavimento dello Z≤calo, la piazza principale di Cittα del Messico, dove era stata interrata sfuggendo cos∞ alla furia distruttiva dei monumenti e degli idoli da parte dei Conquistadores.
Incorniciati da due serpenti di fuoco, vi sono scolpiti i nomi dei venti giorni dei mesi del calendario rituale degli Aztechi e le date commemorative dei ôQuattro Soliö, che rappresentano le quattro ere precedenti alla storia azteca, che invece si svolgeva nellÆera del ôQuinto Soleö, nato nel grande centro cerimoniale di Teotihuacßn. I mondi passati erano stati cancellati da una serie di catastrofi divine: inghiottiti dalla voracitα dei giaguari, spazzati via dagli urgani, bruciati dal fuoco e sommersi dalle inondazioni.
Gli Aztechi, privi di una storia orginaria omogenea, seppero apprendere e rielaborare le arti, le tecniche, i culti e le conoscenze astronomiche delle civiltα che li avevano preceduti e cos∞ anchÆessi impararono ad adoperare un Calendario Rituale (ôtonalpohualliö) di 260 giorni con 5 giorni nefasti ed un Calendario Solare di 365 giorni - calcolato secoli prima dai Maya - mentre i cicli ôsecolariö degli Aztechi avevano una cadenza di 52 anni.
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AllÆinizio del XIV secolo, appena insediati a Tenochtitlßn, un gruppo di Mexica si separarono e fondarono su un isolotto vicino una propria cittα, chiamata Tlatelolco, che si svilupp≥ autonomamente come emporio commerciale. Nel 1478 il sovrano azteco Axßyacatl sÆimpadron∞ del piccolo feudo e fece precipitare dallÆalto della grande Piramide il re locale Moquihuix.
Tlatelolco conserv≥ la sua vocazione commerciale e divenne il pi∙ grande mercato dellÆimpero azteco. Al suo arrivo a Tenochtitlßn Hernßn CortΘs rimase abbagliato dalla folla di compratori e venditori e dalla ricchezza delle mercanzie esposte ed il suo cronista Bernal Dφaz del Castillo dedic≥ un lungo capitolo alle meraviglie di Tlatelolco.
Le rovine di questo sobborgo vennero messe in luce durante gli Anni Sessanta dagli archeologi dellÆIstituto Nazionale di Antropologia e Storia: si possono vedere ancora le fondamenta della piramide dove sorgeva il Tempio principale, alcune gradinate, i resti dello ôtzompantliö ed una serie di piattaforme disposte secondo il modello del centro cerimoniale di Teotihuacßn.
La vasta area viene chiamata oggi ôPiazza delle Tre Cultureö (progettata dallÆarchitetto Mario Pani), poichΦ abbraccia tre epoche fondamentali per la storia messicana: il centro cerimoniale della Tlatelolco azteca, la chiesa francescana di Santiago del XVII secolo - ci≥ che resta dellÆantico collegio per i figli della nobiltα azteca dove insegn≥ Bernardino de Sahag·n, uno dei pi∙ acuti cronisti della Conquista - ed il moderno grattacielo del Ministero degli Affari Esteri, costruito sulle rovine di un tempio dedicato a Quetzalc≤atl.
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Moctezuma II, dando ascolto alle profezie nefaste dei suoi sacerdoti che prevedevano grandi distrastri per il suo regno, intensific≥ il ritmo dei sacrifici di sangue per placare gli Dei, in attesa del ritorno di Quetzalc≤atl, il Dio dei Toltechi che avrebbe posto fine alle sofferenze degli uomini.
Dalla costa erano arrivate notizie su uno straniero barbuto e vestito di lucido metallo, Hernßn CortΘs, che nella mente degli Aztechi avrebbe potuto essere un messaggero di Quetzalc≤atl, se non addirittura il Dio in persona. Moctezuma cerc≥ pi∙ volte di impedire la marcia di CortΘs verso la capitale, inviandogli ambasciatori con ricchi doni, ma invano: lÆ8 novembre dellÆanno 1519 gli Spagnoli entrarono a Tenochtitlßn, sbalorditi dalla mangificienza della cittα che emergeva dalla laguna.
Nonostante fosse stato ricevuto con tutti gli onori, CortΘs diffidava di Moctezuma e decise di segregare il sovrano nel suo Palazzo. AllÆinizio del 1520 Hernßn CortΘs fu costretto ad abbandonare Tenochtitlßn per combattere contro le truppe spagnole inviate dal governatore di Cuba, invidioso dei suoi successi. In sua assenza le cose precipitarono: durante le celebrazioni al Templo Mayor, il suo luogotenente Pedro de Alvarado invase il centro cerimoniale e ordin≥ di uccidere tutta la nobiltα azteca, un atto ricordato con lÆevocativo nome di ômattanza del Templo Mayorö.
Al ritorno di CortΘs, Moctezuma fu ucciso e nella notte del 30 giugno - la ônoche tristeö, la notte triste - gli Spagnoli furono costretti a fuggire davanti ad una folla in rivolta. Recuperate le forze, CortΘs marci≥ nuovamente contro Tenochtitlßn e questa volta, dopo un assedio durato tre mesi, riusc∞ a mettere a fuoco e fiamme la cittα: era il 13 agosto del 1521, una data indimenticabile per il ôVecchio Mondoö.
Tenochtitlßn venne saccheggiata alla ricerca di tesori da inviare al Re di Spagna Carlo V, furono abbattuti i monumenti e gli idoli, la popolazione venne massacrata o ridotta in schiavit∙ e lÆultimo sovrano azteco CuauhtΘmoc fu torturato e giustiziato.
Dalle ceneri di Tenochtitlßn nascerα la capitale della ôNuova Spagnaö che dÆora in poi si chiamerα ôMexicoö.
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LÆorigine dei Mexica Φ oscura e la loro vera storia inizia con lÆinsediamento sullÆisolotto in mezzo alla Laguna di Texcoco dove giungono intorno al 1325.
Nel Codice Boturini un antico disegno mostra le otto trib∙ dei Mexica che migrano dalla mitica patria Aztlßn verso gli Altipiani Centrali: il primo tentativo per fermarsi stabilmente fallisce a causa di un cattivo presagio del Dio della Guerra Huitzilopochtli ed un gruppo - i Tenochca - decide di proseguire il suo viaggio fino al Lago di Texcoco dove vengono fondate due cittα, Tenochtitlßn e Tlatelolco.
Per sopravvivere nelle terre paludose gli Aztechi creano le ôchinampasö, isolette artificiali sulle quali coltivano il mais e tutte le piante necessarie al sostentamento.
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Concluso nel 1428 il patto della ôTriplice alleanzaö tra Tenochtitlßn, Texcoco e Tlacopßn, gli Aztechi riescono in breve tempo ad imporsi su quasi tutte le popolazioni vicine. LÆimpero che nasce si basa su quattro punti fondamentali: la guerra, i tributi dei popoli sottomessi, il commercio ed i sacrifici di sangue. Dal 1376 fino al regno di Moctezuma II (1502-1520) si susseguono nove sovrani con alterne fortune: sono eternamente in lotta con le trib∙ ribelli e devono affrontare le avversitα della natura come inondazioni e siccitα che portano a terribili carestie.
La carica di Re non Φ ereditaria e il nuovo monarca viene eletto tra i membri della famiglia reale da un consiglio di sacerdoti, guerrieri e funzionari. Il gradino pi∙ alto della scala sociale Φ occupato dai nobili e dai sacerdoti che officiano i sacrifici e interpretano il Calendario Divinatorio.
I guerrieri - tra cui i corpi scelti dei ôGuerrieri dellÆAquilaö e dei ôGuerrieri del Giaguaroö - hanno un ruolo predominante nella societα azteca e vengono addestrati fin dalla pi∙ tenera etα. Il loro compito Φ soprattutto quello di catturare numerosi nemici vivi al fine di poterli sacrificare sugli altari di Huitzilopochtli, Tlaloc e Xipe T≤tec. A questo scopo viene istituita la rituale ôGuerra dei Fioriö con combattimenti ciclici e programmati.
Cittadini di rango medio-alto e molto stimati sono i ôpochtecaö, i mercanti, mentre gli artisti e gli artigiani, seppur considerati utili, non godono di privilegi particolari. Molti artisti - orafi, tagliatori di pietre preziose, scultori, acconciatori di piume e mosaicisti - sono di provenienza straniera e vivono in ôcalpulliö separati, quartieri dove possono mantenere le proprie tradizioni religiose e sociali.
Il livello pi∙ basso della societα Φ costituito dagli schiavi, una casta di nullatenenti o persone che hanno commesso un crimine. ╚ possibile per≥ riscattarsi e comunque i loro figli sono considerati liberi.
Gli Aztechi possiedono due sistemi scolastici: il ôcalmΘcacö Φ riservato ai figli dei nobili che vengono istruiti nella religione, nellÆarte della guerra, nella scrittura e nella conoscenza dei Calendari; nel ôtelpochcalliö invece sono educati i figli dei comuni cittadini, anchÆessi addestrati alla guerra, ma anche ai lavori agricoli e artigianali. La lingua ufficiale dellÆimpero Φ il ônßhuatlö, il ôlinguaggio elegante e fioritoö degli Aztechi che amano anche organizzare gare di oratoria e di canto.
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Moctezuma II regnava da diciassette anni sullÆimpero azteco, quando nel novembre del 1519 Hernßn CortΘs compare con un manipolo di uomini davanti alle porte di Tenochtitlßn dopo aver marciato per 400 chilometri,
combattuto sanguinose battaglie e stretto preziose alleanze con le popolazioni ostili agli Aztechi.
Inquieto per le funeste profezie dei suoi sacerdoti e preoccupato per il temuto ritorno del divino ôserpente piumatoö Quetzalc≤atl, Moctezuma ha tentato pi∙ volte invano di bloccare lÆavanzata di CortΘs, ma ora si trova di fronte allo straniero, allÆinvasore, allÆuomo corazzato di metallo che minaccia il re vestito di piume.
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Inquieto per le funeste profezie dei suoi sacerdoti e preoccupato per il temuto ritorno del divino ôserpente piumatoö Quetzalc≤atl, Moctezuma ha tentato pi∙ volte invano di bloccare lÆavanzata di CortΘs, ma ora si trova di fronte allo straniero, allÆinvasore, allÆuomo corazzato di metallo che minaccia il re vestito di piume.
ôEra un uomo di circa 40 anni, di alta statura e ben proporzionato, piuttosto asciutto e di colore olivastroö - cos∞ il testimone oculare Bernal Dφaz del Castillo descrive Moctezuma - ôaveva i capelli non molto lunghi che appena gli coprivano le orecchie, e poca barba nera, ben curata; viso piuttosto allungato e allegro, occhi vivaci, e nel portamento e nello sguardo rivelava bontα e, quando era necessario, anche severitαö.
LÆiniziale pacifico incontro con gli Spagnoli Φ ingannevole e lÆurto tra le due civiltα sarα tremendo. Sorprendentemente Moctezuma mostra soltanto rassegnazione davanti allÆinevitabile scontro e si lascia ôconvincereö a diventare un ostaggio in mano ai Conquistadores. Per quasi due anni si susseguono umiliazioni e saccheggi, battaglie e stragi, durante le quali Moctezuma viene ucciso, e il 13 agosto del 1521 la capitale Tenochtitlßn Φ costretta a cedere sotto i colpi degli Spagnoli. Le cronache di quel fatale evento contengono pagine raccapriccianti e pesano sulla coscienza di tutta lÆumanitα.
Cos∞ scrive Bernal Dφaz del Castillo: ôHo letto il racconto della distruzione di Gerusalemme; ma credo che lα non ci siano stati tanti morti come qui a Messico...ci muovevamo in mezzo ai cadaveri, ed era tanto il fetore che non lo potevamo sopportare...tutte le strade erano piene di uomini, donne e bambini cos∞ magri, patiti, sudici e puzzolenti che facevano proprio pena...La cittα poi era come un campo arato; avevano strappato persino le radici pur di mangiare qualche cosa e avevano cotto anche le cortecce degli alberi... Dopo aver conquistato una cos∞ grande e popolosa cittα, celebre in tutto il mondo, CortΘs prima rese grazia a Dio e alla Madonna, poi fece fare un gran banchetto...ö.
In una cronaca postuma Bernardino de Sahag·n scriverα:
ô...scorreva sangue come lÆacqua quando piove, tutto il cortile era disseminato di teste, braccia, di viscere e di corpi trucidati. In ogni angolo gli Spagnoli frugavano tra i corpi per ammazzare chi era ancora vivo...allora gli Spagnoli cominciarono a togliere lÆoro dalle piume, dagli scudi e dagli altri addobbi cerimoniali...per togliere lÆoro distrussero tutti i piumaggi e i bei gioielli. LÆoro, poi, lo fusero e ne fecero lingotti.ö
BartolomΘ de Las Casas, il difensore degli Indios, descrive come gli Spagnoli, al grido di ôSantiagoö, compivano le stragi: ôFurono enormi e abominevoli le tirannie perpetrate a Messico...popolazioni infinite perirono...e poi si diffuse e dilag≥ una feroce pestilenza: dire di tutti gli scempi, degli assassini e delle crudeltα commesse in quella terra sarebbe impresa invero difficilissima, se non impossibile, e il racconto sarebbe insopportabile da udirsi.ö
Non bisogna credere che le notizie sulla conquista del Messico che giungevano allora in Europa fossero accolte da tutti con entusiasmo. Vi furono uomini di grande intelletto che fecero sentire la loro voce critica e tra essi Michel de Montaigne (1533-1592) che scrisse nei suoi ôSaggiö a proposito dei massacri nel ôNuovo Mondoö:
ôNoi abbiamo i resoconti (degli Spagnoli) da loro stessi, poichΘ non solo li confessano, ma se ne vantano e li divulgano. Sarebbe forse per testimonianza della loro ingiustizia? O di zelo verso la religione?...Se si fossero proposti di diffondere la nostra fede, avrebbero considerato che non Φ per conquista di terre che essa si propaga, ma per conquista di uomini...senza unirvi con indifferenza un macello come se si trattasse di bestie selvagge, totale, fin dove il ferro e fuoco poterono giungere...Quelli del regno del Messico erano in qualche modo pi∙ civili e pi∙ industriosi delle altre popolazioni di laggi∙. Essi pensavano, come noi, che lÆuniverso fosse prossimo alla fine, e interpretarono la desolazione che vi abbiamo inflitto come segno di quellÆeventoö.
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Il centro di Cittα del Messico ha conservato molti aspetti del suo carattere spagnolo, anche se la storia turbolenta del paese ha cambiato e ridefinito pi∙ volte lÆimmagine della cittα. AllÆepoca della proclamazione dÆIndipendenza nel 1821 - esattamente tre secoli dopo lÆentrata di CortΘs a Tenochtitlßn - la cittα conta 160.000 abitanti ed Φ la pi∙ grande metropoli dellÆAmerica Latina. Durante il regime del despota Porfirio Dφaz, tra la fine dellÆOttocento e lÆinizio del Novecento, Cittα del Messico diventa un immenso cantiere: viene bonificata gran parte del Lago di Texcoco per poter espandere la cittα che nel 1940 raggiungerα quasi 2 milioni di abitanti. Seguono anni difficili tra sommosse popolari e rivolte studentesche, alle quali si aggiungerα nel 1985 un disastroso terremoto che costerα migliaia di vittime e metterα la cittα in ginocchio.
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Il cuore della cittα Φ lo Z≤calo, lÆimmensa piazza quadrata che ufficialmente si chiama ôPlaza de la Constituci≤nö e che venne pianificata al tempo di CortΘs secondo i canoni urbanistici a scacchiera sul modello rinascimentale spagnolo.
Lo Z≤calo, insieme al primo nucleo cittadino, occupa lÆarea che era il fulcro dellÆantica Tenochtitlßn azteca dove si trovavano il ôTeocalliö, il recinto sacro, la residenza di Moctezuma II e il ôtianguiö, il mercato degli scambi. Anche in periodo coloniale la piazza continu≥ ad essere il centro commerciale e amministrativo della cittα, ma vi si svolgevano anche corride ed esecuzioni capitali.
Lo Z≤calo Φ il polso vitale della cittα che batte ad ogni ora del giorno e della notte: allÆalba squillano le trombe della Guardia Nazionale che issa lÆimmensa bandiera del Messico, durante il giorno si discute, si vende, si compra e si passeggia, la sera risuonano i tamburi che accompagnano le danze, pi∙ o meno autentiche, degli Indios per ricordare che lÆidentitα azteca non Φ morta e di notte continua il bivacco dei gruppi di protesta che spesso vi piantano le loro tende.
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Sullo Z≤calo si affaccia il ôPalacio Nacionalö sede del Presidente della Repubblica, del Tesoro, dellÆArchivio di Stato e della pi∙ grande Biblioteca del Messico. Anticamente vi sorgeva il Palazzo di Moctezuma, distrutto e saccheggiato dagli uomini di CortΘs che frantumarono gli arredi e strapparono le vesti ed i piumaggi per recuperare gli ornamenti dÆoro. Sulle sue macerie CortΘs fece costruire il ônuovo palazzoö che nel 1526 divenne sede del VicerΦ spagnolo.
Semidistrutto durante una rivolta del XVII secolo, il Palazzo venne ricostruito nella forma attuale: un lunghissimo edificio con quattrodici patii e una vasta corte centrale che venne decorata negli Anni Trenta con i possenti murales di Diego Rivera che illustrano la ôStoria del Messicoö, la ôLotta di Classeö e la ôGrande Tenochtitlßnö.
Sopra il portale principale pende la ôCampana di Doloresö che, suonata nel 1810 dal prete rivoluzionario Miguel Hidalgo, annunci≥ con i suoi tocchi lÆinizio della Guerra di Indipendenza, un evento che viene celebrato solennemente ogni anno, il 16 settembre, sulla piazza dello Z≤calo.
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Tra lo Z≤calo e il ôTemplo Mayorö sorge la grande Cattedrale fondata allÆinizio del XVI secolo sulle rovine azteche che comprendevano il Tempio del Dio Xipe T≤tec e lo ôtzompantliö, il macabro ômuro dei craniö.
La facciata barocca risale al 1573, ma negli anni seguenti vennero operate numerose aggiunte, tanto che la Cattedrale fu terminata soltanto nel XVIII secolo, quando vi venne esposto un ricchissimo retablo dÆoro che splende ancora dietro lÆöAltare de los Reyesö. Posato sul fragile suolo paludoso di Cittα del Messico, lÆedificio Φ eternamente a rischio - come del resto tutta la cittα che ogni anno sprofonda di diversi centrimetri - e viene sottoposto a continui restauri e lavori di consolidamento.
Confinante, ma indipendente dalla Cattedrale, fu eretto nel 1768 il Sagrario Metropolitano, un magnifico esempio dello stile churrigueresco nel quale risaltano le pietre grigie basaltiche alternate al ôtezontleö, la rosata pietra vulcanica che caratterizza gli edifici di Cittα del Messico dal tempo degli Aztechi.
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Il Centro Storico di Cittα del Messico Φ di vastissime proporzioni e occupa una superficie di 15 chilometri quadrati con 1500 edifici, databili dal XVI al XIX secolo, posti sotto la tutela delle istituzioni preposte alla salvaguardia dei monumenti.
La prima pianta della cittα Φ stata attribuita a Hernßn CortΘs che invi≥ al re Carlo V di Spagna un disegno che mostrava il ôTeocalliö circondato dai vari quartieri che emergevano come isole in mezzo ai canali della laguna. I canali vennero poi interrati e gran parte della laguna prosciugata e della ôcittα galleggianteö non rimase che la memoria dei cronisti antichi.
Gli effetti del terribile terremoto del 1985, che ha gravemente danneggiato lÆintero patrimonio storico, si vedono ancora e ci vorranno molti anni ed enormi sforzi economici prima che i numerosi progetti di restauro e di conservazione possano concludersi.
DallÆalto della ôTorre Latino-Americanaö si gode una vista a 360 gradi sulla cittα e si scorgono, tra le cupole ed i palazzi dÆepoca coloniale, molti edifici in stile neoclassico - il Palazzo delle Belle Arti, la grande Posta, i ministeri ed i teatri - costruiti durante il grande fermento edilizio dei primi anni dellÆindipendenza nazionale.
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Una folla inverosimile si riversa ogni giorno nelle vie e nelle piazze e altrettanto caotico Φ il traffico che scorre lungo le ôavenidasö e le ôejes videsö, le autostrade urbane che collegano il centro con gli innumerevoli quartieri periferici.
Una delle arterie pi∙ importanti Φ il ôPaseo de la Reformaö che taglia la cittα da est a ovest e che venne aperto alla metα dellÆOttocento, quando la capitale era occupata dalle truppe francesi che vi insediarono un imperatore straniero, Massimiliano dÆAsburgo, fucilato nel 1867 dalle truppe rivoluzionarie del Presidente Benito Jußrez.
Il ôPaseoö Φ intervallato da numerose ôglorietasö, le ôrotonde spartitrafficoö, sulle quali vennero eretti dei trionfali monumenti dedicati a uomini illustri, dallÆultimo sovrano azteco CuauhtΘmoc a Cristoforo Colombo. In posizione elevata svetta la ôColonna dellÆAngelo dÆOroö, circondata alla base dagli eroi dellÆIndipendenza e che Φ diventata una specie di simbolo del Messico libero.
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Il luogo deputato per incontrarsi sono le piazze, ognuna delle quali possiede caratteristiche proprie a seconda delle attivitα che vi si svolgono.
Piazza Garibaldi brulica di ômariachisö, i musicisti originari del Jalisco, vestiti nel tradizionale costume nero da ôcharroö, tempestato da bottoni dÆargento: suonano tutti gli strumenti a corda, dalla chitarra allÆarpa, e talvolta anche la tromba. LÆorigine del nome ômariachiö Φ misteriosa: taluni affermano che si tratti di una storpiatura del francese ômariageö, poichΘ le bande suonavano alle nozze, altri sostengono che provenga dalla ôVergine Mariaö, perchΘ i musicisti accompagnavano con le loro canzoni le processioni mariane.
Gremita Φ anche la Piazza di Santo Domingo, dove un tempo visse ôDo±a Marinaö, o ôMalincheö, la principessa indigena fedele alleata, interprete e compagna di Hernßn CortΘs. Sotto il porticato della piazza attendono gli ôevangelistasö, gli scrivani e i tipografi al servizio dei clienti per compilare documenti ufficiali e per scrivere missive dÆamore e biglietti dÆaugurio.
Di fronte alla chiesa barocca di Santo Domingo si trova il possente edificio dellÆAntica Scuola di Medicina, un tempo prigione dei famigerati tribunali della Santa Inquisizione che oper≥ in Messico fino al 1815 e che oggi ospita il Museo di Storia della Medicina.
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Il polmone verde della cittα Φ il Parco di Chapultepec, la ôcollina delle cavalletteö dove giunse nel XIII secolo il popolo dei Mexica dopo un lungo perigrinare tra gli altipiani e le vallate.
Da qui vennero cacciati verso lÆisola sul Lago di Texcoco, ma in seguito ripresero possesso del bosco di Chapultepec, giα allora considerato luogo di riposo e di svago per i sovrani, nonchΘ preziosa fonte delle acque potabili che alimentavano il ôTeocalliö di Tenochtitlßn. Il parco comprende la residenza ottocentesca dellÆarciduca Massimiliano, vari musei (tra cui lo splendido Museo Nazionale di Antropologia), uno zoo, il giardino botanico e numerose aree ricreative.
Tra i parchi cittadini il pi∙ visitato Φ il centrale Parco dellÆAlameda, creato nel 1592 dal VicerΦ Luis de Velasco al posto di un mercato azteco per poter celebrare i pubblici ôautodafΘö dellÆInquisizione. I roghi che videro bruciare gli ôereticiö appartengono fortunatamente al passato ed oggi il parco si Φ riempito di nuovo di bancarelle, bambini e innamorati e di qualche oratore che incita a credere in Dio, a comperare una pozione miracolosa o a manifestare contro le ingiustizie del mondo.
[1281]
I ôtianguisö di antichissima tradizione possono essere mercati stabili, stagionali o improvvisati e sono lÆaspetto pi∙ vitale e colorato della cittα.
Oggi come allora, i venditori dÆambra, di tessuti, di artigianato, di libri, di frutti esotici, di fiori e di varie chincaglierie affollano lo Z≤calo, le strade, le piazze, i parchi e i porticati intorno alle chiese. Molti vengono dai paesi circostanti o da regioni lontane, portando i loro prodotti nella grande cittα, e spesso si possono trovare degli oggetti veramente belli e singolari.
Oltre ai mercati di strada, Cittα del Messico possiede numerosi centri di Arte e Tradizioni popolari, veri e propri bazar dove sono in vendita preziosi e autentici manufatti indigeni - sculture in terracotta e legno, vasellame, ricami, gioielli e lacche - raccolti nei villaggi dove le tradizioni culturali sono ancora vive e vengono trasmesse di generazione in generazione.
[1291]
Cittα del Messico Φ costellata di chiese, sontuose e modeste, costruite in posizione dominante o nascoste tra gli edifici coloniali, frequentate da folle di fedeli e pellegrini, oppure vuote e abbandonate come un monumento che ha esaurito la sua funzione.
Nel 1528, subito dopo la Conquista, venne istituito il vescovato del Messico, allora presieduto da padre Juan de Zumßrraga che fece abbattere gli ultimi idoli. Francescani e Domenicani fondarono una miriade di chiese, conventi e collegi per educare gli indigeni alla fede cristiana. Le prime chiese erano austere, costruite secondo lo stile rinascimentale con elementi gotici, ma poi divennero sempre pi∙ trionfali, con facciate barocche esuberanti, ornamenti churriguereschi e ricche decorazioni interne sovraccariche dÆoro, tanto che il VicerΦ Antonio de Mendoza dovette richiamare gli Ordini religiosi alla moderazione.
Una delle chiese pi∙ note Φ San Francesco dÆAssisi, stretta tra i palazzi della centralissima Via Madero: si tratta dellÆunico edificio superstite di un convento francescano fondato nel 1524 per volontα di Hernßn CortΘs e costruito sulle rovine del ôserraglioö di Moctezuma. Questa chiesa, nella quale venne celebrato il primo Concilio dei vescovi messicani, fu smantellata durante il periodo del governo riformista e riconsacrata al culto soltanto allÆinzio del nostro secolo.
[1301]
LÆantica Universitα di Cittα del Messico venne fondata giα nel 1551 ed era la prima in assoluto di tutto il continente americano.
La moderna Universitα risale invece al 1929, quando venne creata lÆUNAM (Universidad Nacional Aut≤noma de Mexico), e attualmente Φ il campus pi∙ grande e pi∙ frequentato dellÆAmerica Latina. Situata in un vasto parco di circa trecento ettari, la maggior parte dei suoi edifici vennero costruiti negli Anni Cinquanta dagli architetti Mario Pani, JosΘ Garcφa Villagrßn ed Enrique de Moral. Alla realizzazione parteciparono numerosi pittori e scultori ed oggi la Cittα Universitaria Φ diventata una specie di fiera dellÆarchitettura contemporanea che contiene alcune opere spettacolari, come la sistemazione drammatica e teatrale di un antico campo di lava, trasformato in un suggestivo ôEspacio Escult≤ricoö con grandi blocchi di cemento che cingono i neri massi vulcanici.
Frequentata da circa 300.000 studenti, lÆUniversitα Φ stata in passato al centro di violenti scontri tra dissidenti politici e forze governative che furono seguiti con apprensione in tutto il paese. Oggi la Cittα Universitaria Φ aperta a tutti i visitatori, ma Φ proibito lÆingresso alla polizia e ai militari.
[1311]
Senza dubbio il Museo di Antropologia di Cittα del Messico Φ una delle istituzioni museali pi∙ belle e ricche del mondo. Il complesso del Museo venne progettato allÆinizio degli Anni Sessanta dallÆarchitetto Pedro Ramφrez Vßzquez, mentre il grande ôombrelloö di pietra, che poggia su un elevato monolite bagnato dallÆacqua e che copre una parte del cortile interno, Φ opera dello scultore JosΘ Chavez Morado.
Nelle vaste sale dei padiglioni su due piani, distinti in vari settori, sono esposte le opere di tutte le civiltα che hanno composto il mosaico culturale del Messico, dalla Preistoria alla civiltα olmeca (la cultura-madre della Mesoamerica), dalla cultura di Teotihuacßn al trionfo dei Maya, dalle popolazioni Zapoteco-Mixteche di Oaxaca a quelle Totonaco-Huasteche del Golfo, dalla civiltα Tolteca alle culture delle Terre dÆOccidente, dal popolo dei Taraschi allÆimpero azteco.
Questo museo, al di lα dei capolavori che vi sono esposti - tra cui la ôPiedra del Solö, le giade olmeche, le stele istoriate dei Maya, le maschere ed i volti dei sovrani precolombiani e le immagini terrificanti degli Dei dalla duplice natura umano-animale - possiede unÆatmosfera magica: le figure degli antichi emergono dalle ombre in una luce calda trasmutandosi in messaggeri di un mondo perduto, ma non dimenticato.
[1322]
DallÆanno della Conquista nel 1521 i Messicani diventano cittadini della ôNuova Spagnaö, governati dai VicerΘ spagnoli e oppressi dagli ôhacendadosö, i ricchi possidenti terrieri.
Nei primi anni del XIX secolo il Messico insorge, incitato dal prete rivoluzionario Miguel Hidalgo e dal militare di carriera Ignacio de Allende che lanciano il ôGrido di Doloresö che segna, il 16 settembre dellÆanno 1810, lÆinizio della rivolta indipendentista.
Poco dopo Allende viene ucciso, Hildalgo consegnato allÆInquisizione e fucilato, ma lÆinsurrezione non si fermerα e sarα guidata da un altro prete, JosΘ Mario Morelos, anchÆegli fucilato, dopo aver dato al Messico nel 1815 una prima Costituzione repubblicana.
[1321]
La proclamazione ufficiale dellÆIndipendenza - nel 1821 - spetta ad un personaggio ambiguo, Augustin de Iturbide che si autoproclama ôPrimo Imperatoreö del Messico, vanificando le speranze repubblicane. Sono anni tumultuosi e terribili: Iturbide viene esiliato e poi ucciso nel 1823; tornano alla ribalta i repubblicani e viene promulgata una nuova Costituzione; nel 1848 il Messico perde gran parte dei suoi territori - tra cui il Texas e la California - ed in tutto il paese infuria la Guerra Civile.
Nel 1858 sale al potere Benito Jußrez, giα ministro di un governo liberale, che cerca di risollevare le sorti del Paese emanando la prima Costituzione federale e annullando il grave debito estero contratto dai suoi predecessori. A causa di ci≥ si troverα a dover combattere contri i Francesi di Napoleone III - garanti del prestito - che nel 1862 riescono ad occupare Cittα del Messico e ad imporre lÆarciduca austriaco Massimiliano dÆAsburgo come imperatore. Nel 1867 Massimiliano Φ giustiziato dalle truppe indipendentiste e Benito Jußrez viene rieletto Presidente.
Ostacolate dai gruppi di opposizione clericali e militari, le riforme tardano a realizzarsi e nel 1876, con un colpo di stato, sÆimpadronisce del potere il generale Porfirio Dφaz, che governerα il Paese per trentacinque anni con metodi dittatoriali.
Nel 1910 scoppia nuovamente la rivoluzione, guidata dallÆintellettuale borghese Francisco Madero e combattuta sul campo dai ôpeonesö di Pancho Villa e di Emiliano Zapata. In pochi mesi tutto il Messico insorge e nel maggio del 1911 Porfirio Dφaz Φ costertto allÆesilio.
Il nuovo capo del governo Φ ora Madero, che per≥ si dimostrerα troppo debole per resistere alle pressioni dei gruppi di potere militare ed economico, appartenenti per lo pi∙ al vecchio regime. Madero viene asssassinato nel 1913 da uno dei suoi generali e Pancho Villa riprende le armi raggiungendo Emiliano Zapata che non aveva mai abbandonato la lotta. Nel 1914 Villa e Zapata riconquistano Cittα del Messico, ma la pace Φ ancora lontana: Zapata verrα ucciso nel 1919, mentre Villa si ritirerα a vita privata e sarα ucciso in un agguato nel 1923. La guerra civile non Φ finita, altre masse contadine insorgono - i cattolici ôcristerosö - ed il Messico, stremato, piange un milione di morti.
Nel paese si alternano regimi dittatoriali e governi riformisti fino a quando, nel 1935, si impossessa del potere Lßzaro Cßrdenas, il primo Presidente che tenta di ripristinare le libertα civili e religiose e che si assume lÆimpegno di portare avanti una politica progressista e di riforme.
[21]
Per molti secoli i luoghi delle antiche culture del Messico sono stati ignorati dagli uomini: erano stati abbandonati dai loro abitanti, rasi al suolo durante le numerose invasioni nemiche o crollati a causa di terremoti e uragani. Le cittα monumentali dei Maya, degli Zapotechi e degli Aztechi erano diventate quasi invisibili agli occhi dei viaggiatori, ormai avvolte dalla esuberante vegetazione delle foreste tropicali. Quello che la natura aveva risparmiato, venne distrutto allÆarrivo dei Conquistadores nel XVI secolo e soltanto faticosamente, grazie allÆimpegno di archeologi e antropologi coraggiosi, si sono potuti recuperare i grandiosi monumenti che ci raccontano la storia delle antiche popolazioni del Messico. Vediamo allora rinascere dalle ceneri e dalla terra le piramidi di Palenque e di Uxmal, gli edifici monumentali di ChichΘn Itzß e di Monte Albßn, la metropoli di Teotihuacßn e le sculture colossali di La Venta.
[211]
Nella valle di Anßhuac, a poco pi∙ di cinquanta chilometri da Cittα del Messico, nasce tra il II e il VII secolo della nostra era uno dei pi∙ importanti centri religiosi del Messico antico, Teotihuacßn, unÆimmensa metropoli che nel periodo del suo apogeo - tra il V e il VII sec.d.C. - era abitata da circa duecentomila abitanti. Si ignora il nome originario della cittα alla quale gli Aztechi, mille anni pi∙ tardi, diedero il nome ôTeotihuacßnö, una parola in lingua nahua che significa ôil luogo dove si creano gli Deiö.
[2111]
Teotihuacßn sorge in una valle fertile e ricca dÆacqua nellÆaltopiano del Messico, circondata da monti pieni di selvaggina e ricchi giacimenti di ossidiana e altri minerali che contribuiscono alla fortuna della cittα, che diverrα il polo commerciale pi∙ potente della Mesoamerica.
Teotihuacßn viene concepita secondo un grandioso disegno urbanistico che si articola su una superficie di 22 chilometri quadrati e che verte intorno ad un asse centrale, il cosiddetto Viale dei Morti, lungo pi∙ di due chilometri e dominato dalla gigantesca mole della Piramide del Sole, posta nel cuore della via sacra, e dalla grande Piramide della Luna che segna il punto dÆarrivo sul lato nord.
SullÆorigine della popolazione che ha saputo inventare una cittα di sorprendente spazialitα, dotandola di opere architettoniche di enormi dimensioni, si possono fare tuttÆora soltanto delle congetture. Gli antichi cercarono una risposta nel mito, attribuendo la costruzione delle piramidi agli Dei o ai giganti, mentre oggi si pensa che nella valle di Teotihuacßn confluirono probabilmente vari gruppi di popolazioni, dotate di grande inventiva e intelligenza, ed anche di ricchezze economiche sufficienti da poter ideare una cittα-stato, nonchΘ centro religioso, capace di estendere la sua influenza oltre lÆaltopiano centrale del Messico, raggiungendo terre molte lontane come quelle dei Maya, degli Zapotechi e delle popolazioni del Golfo.
[2121]
LÆedificio pi∙ imponente di Teotihuacßn Φ la Piramide del Sole, costruita a quattro livelli sovrapposti su una base di circa 225 metri per lato e alta in origine 75 metri, compreso il tempio sulla sommitα, ora scomparso. La facciata principale della Piramide Φ orientata verso il punto esatto in cui tramonta il sole nel giorno del solstizio dÆestate e ci≥ conferma lÆipotesi che a Teotihuacßn il culto del Sole avesse particolare importanza, anche se si ignora a quale divinitα fosse consacrato il tempio che coronava la cima. La Piramide era interamente coperta di stucco dipinto di rosso e quando il colore si accendeva nella luce fiammante del tramonto il suo aspetto doveva essere insieme grandioso e terribile.
Nel 1971 vennero scoperti alla base della Piramide del Sole un pozzo profondo sette metri ed una galleria sotterranea che termina in una grotta naturale, ubicata esattamente al centro dellÆedificio. Nella caverna vennero trovati specchietti di ardesia per uso rituale e frammenti di ceramica del primo periodo di Teotihuacßn: la grotta sacra Φ certamente antecedente alla costruzione della Piramide, ma la sua funzione in relazione al culto del Sole o di altre divinitα rimane oscura.
[2131]
La Piramide della Luna, posta allÆestremo nord del Viale dei Morti, Φ di dimensioni inferiori alla Piramide del Sole, ma, essendo costruita su un terreno pi∙ elevato, la cima risulta perfettamente allineata a quella della piramide pi∙ grande. Dalla sommitα si ha una visione incomparabile sullÆimmenso viale, sulle piazze, sulle piattaforme scandite dalla geometria delle scalinate e sui palazzi del centro cerimoniale, pianificato con un rigoroso disegno matematico e orientato secondo il cammino del sole dallÆaurora allo zenit e fino al tramonto.
Al tempo del massimo splendore di Teotihuacßn tutti gli edifici, apparentemente cos∞ spogli e rigidi, erano dipinti con colori esuberanti, di rosso, azzurro, verde e giallo, e bisogna immaginare che tra queste architetture che oggi sembrano astratte si muoveva una folla di persone abbigliate con vesti e ornamenti preziosi.
La Piramide della Luna si sviluppa su cinque livelli, costruita secondo la tecnica chiamata ôtalud-tableroö che consiste nellÆalternare pareti inclinate con pareti ripide incorniciate da lastre di pietra, una forma architettonica usata per la prima volta a Teotihuacßn intorno al III sec. d.C. e che verrα adottata nei secoli seguenti da molte civiltα mesoamericane per quasi tutte le strutture piramidali.
[2141]
Il rettilineo Viale dei Morti - lungo pi∙ di 2 chilometri e largo circa 45 metri - include due grandi piazze cerimoniali con piattaforme e altari, una davanti alla Piramide del Sole e lÆaltra davanti alla Piramide della Luna. Lungo tutto il tracciato si trovano numerosi templi e palazzi residenziali riservati alla casta sacerdotale e ai nobili.
Uno degli edifici meglio conservati Φ il Palazzo di ôQuetzalpapßlotlö, probabile residenza dei sommi sacerdoti. Il patio interno Φ protetto da mura merlate sulle quali sono incisi i simboli degli anni, mentre sui pilastri della galleria sono stati scolpiti degli animali stilizzati tra cui spicca il ôquetzalpapßlotlö, un mitico uccello-farfalla dalle piume color smeraldo. Tutte le figure erano dipinte e ornate da dischetti di ossidiana, la preziosa pietra vulcanica vetrificata di cui Teotihuacßn possedeva il monopolio del commercio.
Vicini al ôQuetzalpapßlotlö si trovano il Palazzo dei Giaguari e lÆedificio dei ôCaracoles emplumadosö, le ôChiocciole piumateö: entrambi gli ambienti erano decorati con ricchi stucchi e affreschi di cui sono rimaste alcune tracce che mostrano serpenti, giaguari e animali mitologici.
Proseguendo sul Viale dei Morti, intervallato da numerose gradinate per superare il dislivello del terreno, si incontrano templi, strutture piramidali, labririntici complessi palaziali e molti ôedifici sovrappostiö: si tratta di strutture antiche che venivano rinnovate ciclicamente, sovrapponendo un edificio allÆaltro e inglobando scale, altari, stucchi e sculture.
[2151]
AllÆestremo lato sud del Viale dei Morti venne costruita la cosiddetta ôCittadellaö, un complesso delineato da quattro piattaforme riservate ai sacerdoti e ai governanti. La struttura piramidale del Tempio di Quetzalc≤atl, il mitico sacerdote-sovrano divinizzato nellÆimmagine del ôserpente piumatoö, Φ nascosta da una piattaforma aggiunta dopo il II-III sec.d.C., epoca in cui venne eretto il Tempio pi∙ antico che possiede sette livelli sovrapposti, formati dalla combinazione ôtalud-tableroö con panelli incorniciati che recano 366 sculture.
Grandi teste di serpente circondate da un collare di undici petali (che forse rappresentano piume di ôquetzalö, un uccello variopinto ormai estinto) si alternano a maschere stilizzate coperte di squame con grandi occhi cerchiati e due zanne sporgenti, associate forse al Dio della Pioggia o al Dio del Mais. Intorno ai serpenti e alle maschere vi sono incrostazioni di ossidiana, tracce di pittura verde - il colore che simboleggiava la giada - su fondo rosso e numerose conchiglie e chiocciole di stucco.
Per lungo tempo si Φ creduto che i riti religiosi di Teotihuacßn non includessero sacrifici umani, ma il ritrovamento nellÆarea della ôCittadellaö di numerosi scheletri di sacerdoti sacrificati, cosparsi di conchiglie e figurine dÆargilla, con le mani legate sulla schiena e pezzi di giada nella bocca, ha vanificato lÆidea dei cerimoniali ôpacificiö di Teotihuacßn.
[2161]
Teotihuacßn I
Riguarda il periodo che va dal 200 a.C. allÆanno 0, chiamato Patlachique. La popolazione Φ formata da agricoltori e artigiani dellÆossidiana, un materiale che farα la fortuna economica di Teotihuacßn. Nasce il primo impianto del centro cerimoniale con il Viale dei Morti e la prima struttura della Piramide del Sole, costruita sopra la grotta sacra, che forse fungeva da luogo di divinazione oracolare o rappresentava il Chicom≤ztoc, le ôsette grotteö simbolo della nascita e della vita, nonchΘ pozzo sacrificale dedicato alle divinitα dellÆAcqua, oppure era venerata come Cincalco, la ôcasa del Maisö, legata al mito di Quetzalc≤atl che recupera dalle viscere della terra il nutrimento per gli uomini.
Teotihuacßn II
Riguarda i periodi che vanno dal I sec.d.C. alla prima metα del IV sec.d.C., chiamati Tzacualli e Micaotli. Teotihuacßn diventa la pi∙ grande metropoli del mondo antico con un estensione di 22 chilometri quadrati (superando nelle dimensioni una capitale della stessa epoca come Roma). Vengono completate le piramidi del Sole e della Luna e costruiti la ôCittadellaö e il Tempio di Quetzalc≤atl, ubicati su un asse trasversale del Viale dei Morti che divide la cittα in quattro immensi quartieri con grandi complessi abitativi di 50-60 stanze sistemate intorno ad un patio comune.
Teotihuacßn III
Riguarda i periodi che vanno dalla seconda metα del IV sec.d.C. alla prima metα del VII sec.d.C., chiamati Tlalimimolpa e Xolalpan. Siamo allÆapogeo di Teotihuacßn, una potente cittα-stato cosmopolita che irradia e riceve cultura da luoghi molto distanti tra loro: dallÆaltopiano al Golfo del Messico, dalla civiltα zapoteca di Monte Albßn fino al mondo Maya, dove si riconoscono influenze teotihuacane. Il commercio basato sullo scambio - ad esempio utensili e oggetti di ossidiana e giada contro cacao, piume e turchesi - diventa un veicolo prezioso per far circolare le proprie ideologie, diffondere i propri riti religiosi e insegnare nuove tecnologie. A quellÆepoca Teotihuacßn Φ abitata da circa 200.000 persone e diventa meta di pellegrinaggi e di massicce immigrazioni.
Teotihuacßn IV
Riguarda il periodo del declino tra la seconda metα del VII e lÆVIII secolo ed Φ chiamato Metepec. Nel VII secolo il monopolio commerciale entra in crisi e intorno al 750 d.C. vengono abbattuti i templi ed incendiati i palazzi. Le cause della fine violenta e improvvisa di Teotihuacßn sono misteriose: alcuni studiosi attribuiscono il crollo alle invasioni e ai saccheggi da parte di popoli barbari venuti dal nord; altri pensano che vi sia stata una rivolta dei tributari o delle classi subalterne di Teotihuacßn, mentre altri ancora ritengono che gli incendi e le distruzioni siano state provocate dagli stessi sacerdoti consapevoli della propria impotenza di fronte ai gruppi nemici che premevano alle porte. A prescindere dalle ragioni materiali e fisiche che avrebbero portato alla caduta di Teotihuacßn, bisogna considerare anche il processo naturale di stanchezza e decadenza di una civiltα che per pi∙ di cinque secoli aveva mantenuto il controllo assoluto su gran parte del territorio messicano.
[2172]
Intorno al IX secolo, tra le rovine abitate ancora da modesti agricoltori e artigiani, si stabiliscono i Toltechi di Tula, ragion per cui gli Aztechi, pi∙ tardi, credettero che Teotihuacßn fosse una cittα tolteca. La fama di Teotihuacßn come luogo sacro non si era mai spenta, tanto che alcuni cronisti riferiscono che lo stesso Moctezuma II, sovrano degli Aztechi e avversario di Hernßn CortΘs, si rec≥ ai templi per compiere sacrifici e innalzare la statua di una divinitα azteca sulla sommitα della Piramide del Sole.
[2171]
Tuttavia la cittα era ormai entrata nellÆoblio: durante la ritirata dalla capitale azteca, Hernßn CortΘs fece passare le sue truppe davanti a Teotihuacßn in rovina, ma non la ricord≥ nei suoi diari neppure con un rigo.
Alla fine del XVII secolo vengono esplorate sporadicamente le piramidi del Sole e della Luna, mentre nel 1882 iniziano i primi scavi del francese DΘsirΘ Charnay che suscitano lÆinteresse di un archeologo autodidatta, Leopoldo Batres, imparentato con il presidente-didattore Porfirio Dφaz. Batres commette molti errori di ricostruzione, tra cui alcuni irrimediabili come lÆaggiunta di una quinta terrazza sulla Piramide del Sole.
Nel 1917 i lavori proseguono con metodi scientifici sotto la guida dellÆarcheologo Manuel Gamio che scopre la Piramide di Quetzalc≤atl. Negli anni Trenta viene indagata la vasta area urbana dallo svedese Sigvald LinnΘ e negli anni Sessanta vengono eseguiti i lavori di recupero del centro cerimoniale sotto la guida dei grandi archeologi messicani Ignacio Bernal e Jorge Acosta. Da allora si sono susseguiti numerosi progetti speciali di scavo e di restauro a Teotihuacßn, che hanno portato alla scoperta di preziose pitture murali, sculture e offerte votive, di scheletri, della caverna sacra sotto la Piramide del Sole e di oltre 2000 complessi abitativi ancora da scavare, individuati dalla fotografia aerea e segnati sulla mappa topografica eseguita dallÆarcheologo RenΘ Millon.
[221]
Nelle terre che si affacciano sul Golfo del Messico, tra le regioni del Tabasco e del Veracruz, si sviluppa tra il II e I millennio a.C. una grande civiltα, quella degli Olmechi, ritenuti i precursori di tutte le grandi culture mesoamericane. Il nome originario di quella popolazione Φ rimasto ignoto e gli studiosi hanno deciso di chiamarla ôolmecaö, utilizzando unÆantica definizione azteca per quella regione del Golfo, indicata come ôOlmanö, il ôpaese del caucci∙ö. La civiltα olmeca Φ la ôcultura-madreö di tutte le popolazioni mesoamericane, non soltanto perchΘ lÆarte, i culti e i centri cerimoniali hanno costituito un modello al quale si sono ispirate tutte le future generazioni, ma perchΘ ôolmecaö era un modo di sentire e di agire, era unÆideologia prevalentemente pacifica che venne condivisa da tutte le civiltα che erano entrate in contatto con quel mondo.
[2211]
NellÆumida foresta tropicale tra acquitrini e fiumi sorsero intorno al XV sec. a.C. i primi insediamenti olmechi, simili ad isolotti in mezzo alle paludi. Dopo la caduta di San Lorenzo, il primo grande centro olmeco che ebbe il suo apogeo tra il 1150 e il 900 a.C., sarα La Venta a diventare la capitale religiosa e amministrativa della regione. La cittα venne fondata intorno al 1000 a.C., costruita a poca distanza dalla costa, in prossimitα della foce del fiume Tonala nellÆattuale Stato del Tabasco. Per circa quattro secoli, a partire dal 900 a.C., gli Olmechi di La Venta riuscirono a dominare le regioni del Golfo e a controllare le vie commerciali dellÆossidiana e della giada.
[22111]
La Venta Φ stata vittima di un destino crudele dovendo morire due volte: la prima volta nel 500 a.C. quando croll≥ lÆeconomia olmeca e la cittα venne distrutta e abbandonata; la seconda in tempi moderni quando, negli anni Cinquanta, i suoi monumenti furono costretti a ôsloggiareö dal sito originario per far posto allÆindustria petrolifera che vi aveva scoperto dei ricchi giacimenti. Quello che resta delle rovine di La Venta appare oggi come unÆoasi snaturata tra capannoni industriali, raffinerie e un campo di baseball.
Eppure merita una visita quel fazzoletto verde che le Φ stato riservato: al centro di un prato emerge la grande piramide dÆargilla a forma conica, coperta di erba, che sovrasta lÆantico piazzale cerimoniale, un tempo delimitato da colonne di basalto. Vi erano vari tempietti, un mausoleo colmo di offerte votive e alcune fosse lastricate con mosaici di pietra verde che raffiguravano teste di giaguari e serpenti stilizzati. Pi∙ oltre vennero rinvenute quattro delle celebri teste colossali di basalto che costituiscono la meraviglia, ma anche il grande enigma della civiltα olmeca.
Lungo i sentieri della piccola giungla risparmiata dal cemento sono esposte una serie di copie di altari, stele e monumenti a memoria degli originali che ora si trovano a pi∙ di cento chilometri di distanza, nel Parco Archeologico di Villahermosa.
[22121]
Fu un viaggiatore messicano, JosΘ Maria Melgar y Serrano, che scopr∞ nel 1862 la prima testa monumentale olmeca in un terreno paludoso nella regione del Veracruz. Il colosso - che pesava 20 tonnellate - era il primo di 17 teste che vennero ritrovate negli anni seguenti tra La Venta e San Lorenzo. I lineamenti particolari del volto - labbra sporgenti e naso camuso, cos∞ estranei alla fisionomia messicana - vennero definiti in un primo tempo ôetiopiö e molte congetture fantasiose si fecero circa lontani viaggiatori africani o superstiti di Atlantide che sarebbero approdati sulle coste del Messico in periodo pre-ispanico.
Nel corso degli anni vennero alla luce numerosi oggetti, stele, statue e utensili chiaramente appartenenti ad una popolazione omogenea e gli studiosi compresero di trovarsi di fronte ad un evento straordinario: la scoperta di una civiltα finora sconosciuta, forse pi∙ antica dei Maya, che doveva sconvolgere tutti i dati e le conoscenze sui popoli mesoamericani fino ad allora accumulate.
La Venta venne scoperta nel 1925 dallÆarcheologo statunitense Frans Blom e dallÆetnografo Oliver La Farge, ma il vero pioniere dellÆarcheologia olmeca fu Matthew W. Stirling che negli anni Quaranta e Cinquanta realizz≥ numerosi scavi a La Venta, Tres Zapotes, Cerro de Las Mesas e San Lorenzo. Oltre ad una miriade di preziosi e sofisticati reperti egli scopr∞ che gli Olmechi possedevano un tipo di scrittura (decifrata soltanto parzialmente) e che conoscevano il cosiddetto ôconto lungoö, un sistema di contabilitα e di datazione tramite glifi e segni numerici, un metodo in seguito adottato e perfezionato dai Maya.
[22132]
Il giaguaro antropomorfo Φ un elemento fondamentale nellÆideologia olmeca: rappresenta la terra e le forze telluriche ed Φ legato al rito della nascita, in quanto gli Olmechi credevano che il loro mitico progenitore fosse nato dal congiungimento di un giaguaro con un essere umano.
LÆimmagine del giaguaro appare nei volti dei cosiddetti ôjaguar-babiesö, bambini-giaguari dal cranio deforme, con occhi obliqui, una fenditura sagittale sulla fronte ed i denti spezzati in modo da simulare delle zanne appuntite.
Inoltre si trovano stilizzazioni di felini, di fauci, zanne e artigli sugli altari, sui troni e sul vasellame.
[22131]
Il giaguaro faceva parte della fauna locale ed era un animale temuto e allo stesso tempo venerato. Un antico mito racconta che ôtutto il cielo era un immenso giaguaro e le stelle erano le macchie del suo manto che illuminavano la notteö. Presso le popolazioni dellÆaltopiano centrale, il giaguaro era chiamato ôozelotlö ed aveva il suo posto nel calendario, simboleggiando uno dei giorni. Il mito racconta che, durante il Ciclo del Primo Sole, gli esseri umani venivano divorati dai giaguari e cos∞ ebbe termine questo periodo, chiamato dagli Aztechi ônahui ozelotlö.
[2221]
Vista lÆimpossibilitα di salvare La Venta nel suo ambiente naturale, il poeta messicano Carlos Pellicer, appassionato di archeologia, intraprese tra il 1957 e il 1958 un lavoro straordinario, organizzando il trasferimento dei monumenti olmechi dal sito originario ad un grande parco cittadino, affacciato sulla ôLaguna de las ilusionesö di Villahermosa e allestito con piante e animali a imitazione di una vera foresta tropicale.
[22211]
NellÆarte olmeca prevale la figura umana, anche quando si tratta di illustrare un contesto mitologico: lo dimostrano le sculture degli ôaltariö monolitici (che in realtα sarebbero dei ôtroniö), le cui facciate sono costituite da una grande bocca di giaguaro stilizzata che forma una grotta dalla quale emergono figure maschili. Questa immagine ha molteplici significati: la caverna simboleggia il buio ventre della terra dal quale nascono gli uomini, le piante e gli animali, mentre le fauci del giaguaro sono legate al mito dÆorigine della stirpe che secondo la genesi olmeca sarebbe stata generata dallÆunione mistica tra un giaguaro e una donna.
Misterioso Φ il significato delle scene raffigurate sugli ôaltariö, poichΘ i riti religiosi degli Olmechi ci sono rimasti oscuri: le sculture del primo ôaltareö ci mostrano un uomo seduto a gambe incrociate che sporge tra le zanne di un giaguaro ed afferra una fune - interpretata da alcuni studiosi come il cordone ombelicale - collegata ad un fanciullo scolpito sulla parete laterale; nel secondo ôaltareö la figura maschile, che sembra emergere dal limbo, tiene tra le braccia un neonato inerte in contrapposizione ai personaggi raffigurati sul lato che sorreggono con evidente disagio dei bambini scomposti e vivaci.
[22221]
Labbra tumide dallÆespressione altezzosa, naso largo e schiacciato, occhi a mandorla, fronte aggrottata sotto un casco aderente al cranio: sono questi i principali elementi che caratterizzano le teste colossali degli Olmechi, alte tra 1,47 e 3,40 metri e pesanti da 6 a 50 tonnellate. Queste sculture, eseguite tra il 1200 e il 900 a.C., sono esclusive della cultura olmeca e non hanno riscontro in nessunÆaltra civiltα mesoamericana. Le teste sono scolpite in un unico, immenso blocco di basalto, un materiale introvabile nelle immediate vicinanze degli insediamenti degli Olmechi, i quale dovevano percorrere lunghe distanze - 100 chilometri ed oltre - per procurarsi i pesanti massi di roccia. Si Φ calcolato che alle operazioni di distacco e di trasporto delle enormi pietre su tronchi dÆalbero e zattere partecipassero fino a 1000 persone.
Sul significato delle teste giganti, che per ragioni oscure vennero abbattute e parzialmente mutilate dagli stessi Olmechi alla fine del X sec.a.C., si Φ discusso molto: forse erano ritratti allegorici di una dinastia di sovrani, oppure rappresentavano personaggi legati al gioco rituale della palla, di cui sono stati inventori gli Olmechi grazie alla conoscenza del caucci∙.
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Gli Olmechi erano celebri per la lavorazione della giada, dellÆossidiana e della pietra, tutti materiali che dovevano procurarsi in terre lontane. A La Venta Φ stato rinvenuto un prezioso gruppo di ôofferentiö in giadite levigata che potrebbe rappresentare un antico rituale. Altri doni votivi vennero trovati sotto una tomba composta da un recinto di colonne di basalto, una struttura che somiglia alla palizzata raffigurata nel gruppo degli ôofferentiö.
Esistevano inoltre delle fosse con ôofferte massiveö che consistevano in un deposito di migliaia di lastre di serpentina, materiale da sempre considerato pi∙ prezioso dellÆoro dalle antiche popolazioni del Messico. Le fosse erano coperte da una piattaforma di blocchi di pietra verde composti a mosaico che formavano il volto di un giaguaro stilizzato, a sua volta seppellito sotto uno strato di terra.
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Negli antichi libri del ôChilam Balamö, che contengono le cronache e le profezie delle popolazioni maya dello Yucatßn, Uxmal (che significa letteralmente ôcostruita tre volteö) viene menzionata pi∙ volte come una cittα fiorente, capoluogo delle terre collinose di Puuc, nome con il quale viene definito il particolare stile architettonico di quella regione. La cittα venne fondata allÆinizio del periodo denominato Classico Tardo, intorno al VII sec.d.C., e rimase a lungo uno dei centri cerimoniali pi∙ importanti dello Yucatßn. AllÆepoca del cosiddetto ôcollasso Mayaö, nel X - XI secolo, quando le cittα attraversarono una profonda crisi, anche Uxmal sub∞ lÆinvasione di gruppi stranieri, penetrati dalle regioni del Golfo, e venne occupata dalla dinastia degli Xi·, una popolazione di lontana origine maya che introdusse nuove politiche e culti.
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LÆopera architettonica pi∙ maestosa di Uxmal Φ la ôPiramide dellÆIndovinoö, un edificio di forma semi-ellittica, alto 35 metri e costruito in stile ôPuuc-chenesö. Si possono riconoscere cinque fasi di costruzioni sovrapposte, ad iniziare dal periodo classico fino allÆepoca dellÆoccupazione degli Xi· che nellÆanno 1000 d.C. aggiunsero un Tempio sulla sommitα.
Secondo la leggenda, invece, la Piramide venne eretta in una sola notte da un nano - personaggio magico per le culture mesoamericane - con lÆaiuto della madre, una donna dotata di poteri sovrannaturali.
Alla base della facciata principale, rivolta al tramonto, si trova il tempio pi∙ antico della piramide che reca nellÆarchitrave unÆiscrizione con la data 569 d.C. ed Φ decorato con numerose maschere di Chaac, il ôDio dal naso lungoö, legato al culto dellÆacqua e della pioggia. Nel Tempio venne scoperta la cosiddetta ôregina di Uxmalö, una scultura che raffigura il volto tatuato a scaglie di un sacerdote che emerge dalla bocca di un serpente.
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LÆimmenso cortile di fronte alla Piramide dellÆIndovino Φ chiuso sui quattro lati dagli splendidi edifici del ôQuadrato delle Monacheö, chiamato cos∞ dagli Spagnoli per la presenza di numerose celle di tipo conventuale e per le decorazioni a grata che caratterizzano, insieme alle maschere di Chaac, lo stile ôPuucö. In veritα le grate simboleggiavano delle stuoie, riservate alla classe dominante i cui rappresentanti erano chiamati anche i ôsignori delle stuoieö.
I palazzi sono costituiti da lunghi edifici con numerose porte aperte sulla corte interna. Il piano superiore Φ ornato con una profusione di intrecci geometrici come losanghe, greche e trapezi e da elementi figurativi come capanne stilizzate, maschere sovrapposte, serpenti a due teste e nicchie che contenevano delle sculture a tutto tondo come testimonia lÆunica superstite che raffigura un Bacab, una delle divinitα che sostenevano i quattro angoli della terra. Il ôQuadrato delle Monacheô Φ un eccellente esempio per poter apprezzare lÆaltissimo livello raggiunto dagli intagliatori maya nellÆarte della lavorazione della pietra.
Il complesso venne realizzato intorno al X secolo secondo la visione dellÆuniverso maya: gli edifici sono orientati verso i quattro punti cardinali con al centro una colonna di pietra che simboleggia la ôceibaö, lÆAlbero Cosmico.
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In posizione elevata, sopra una vasta piattaforma con unÆampia gradinata, sorge un edificio lungo quasi 100 metri, chiamato ôPalazzo del Governatoreö nel quale viveva la massima autoritα di Uxmal, forse il ôSignore Chaacö, che si Φ voluto identificare con la figura ornata da piume di ôquetzalö scolpita sopra il portale centrale. LÆedificio - orientato verso il sorgere del pianeta Venere, al quale Φ dedicato anche lÆöAltare del Giaguaro a due testeö posto di fronte al Palazzo - costituisce una delle architetture pi∙ belle e perfette di tutta la Mesoamerica.
La parte inferiore della facciata Φ semplice e lineare, mentre il cornicione superiore Φ fittamente decorato in stile ôPuucö, con i simboli cari alla cultura maya: sul fregio si possono contare 260 maschere del dio Chaac, tante quanti sono i giorni del calendario dellÆanno sacro. La parte posteriore del Palazzo Φ caratterizzata da una serie di strette porte con un arco a forma di punta di freccia che danno accesso a dei piccoli vani il cui uso Φ rimasto sconosciuto.
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Per lungo tempo, sia nel periodo strettamente maya che sotto il dominio della dinastia Xi·, Uxmal Φ stata tra le cittα pi∙ popolose e fiorenti dello Yucatßn, grazie anche alla costruzione di numerosi ôchultunesö, grandi cisterne che assicuravano una duratura riserva dÆacqua in un luogo privo di pozzi naturali. Tra gli edifici monumentali gli archeologi hanno individuato e scavato un Campo per il Gioco della Pelota nel quale sono stati trovati tre anelli di pietra che recano incisa la data dellÆanno 649 d.C.. Vi sono inoltre la Grande Piramide, la superstite facciata del Quadrilatero del ôPalomarö e numerosi palazzi, templi e complessi abitativi, in parte ancora nascosti sotto la vegetazione.
Leggermente distaccato rispetto allÆasse centrale tra il ôQuadrato delle Monacheö e la Grande Piramide si trova il cosiddetto ôGruppo del Cimiteroö, un tempio con un vasto recinto che contiene quattro piattaforme ornate da teschi: pi∙ che di un cimitero potrebbe trattarsi di unÆarea sacrificale di epoca Xi·.
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Nel pantheon delle divinitα maya Chaac (o Chac) Φ il Dio del Mais, associato allÆacqua, alla pioggia, ai fiumi e allÆenergia vitale.
Chaac Φ una delle molteplici divinitα antropomorfe che derivano dai draghi e dai serpenti ed appare nellÆiconografia come un essere mostruoso con zanne, occhi spiraliformi e un naso ricurvo a forma di proboscide (ed Φ per questo chiamato anche il ôDio dal naso lungoö).
Talvolta regge tra le mani una torcia, simbolo di siccitα, oppure unÆascia che simboleggia il fulmine.
[2351]
A Chaac erano associati animali acquatici come tartarughe e rane, e per scongiurare le carestie gli venivano offerti sacrifici di sangue. Con lÆarrivo dei Toltechi e delle popolazioni straniere provenienti dal Golfo, Chaac viene assimilato a Tlaloc, il Dio della Pioggia degli altipiani centrali.
Al Dio era dedicata la festa della ôSomministrazione del bluö (che si svolgeva nel mese di Mol, lÆVIII del calendario maya) durante la quale tutti gli oggetti di uso quotidiano e le porte venivano dipinti di blu - il colore di Chaac - per allontanare gli spiriti maligni. Era uso ôbacchettareö per nove volte le mani dei giovani per farli diventare dei bravi artigiani. Sempre a Chaac era dedicata la festa di Ocnß (ôentrare in casaö) nel mese di Yax (il X del calendario maya) quando venivano consultati gli oracoli per sapere quale fosse il periodo propizio per restaurare i templi del Dio.
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AllÆarrivo degli Spagnoli Uxmal era ancora abitata, anche se gli Xi·, coinvolti in violenti combattimenti con i Conquistadores tra il 1527 e il 1531, avevano trasferito da tempo la capitale a Mayapan.
Le prime descrizioni del luogo sono contenute nei diari dei frati Alonso de Ponce, Diego Lopez de Cogolludo e Antonio de Ciudad Real.
Poi su Uxmal scende il silenzio.
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AllÆarrivo degli Spagnoli Uxmal era ancora abitata, anche se gli Xi·, coinvolti in violenti combattimenti con i Conquistadores tra il 1527 e il 1531, avevano trasferito da tempo la capitale a Mayapan. Le prime descrizioni del luogo sono contenute nei diari dei frati Alonso de Ponce, Diego Lopez de Cogolludo e Antonio de Ciudad Real. Poi su Uxmal scende il silenzio.
Nella prima metα dellÆOttocento giungono sul posto lÆesploratore-scrittore americano John Lloyd Stephens e lÆarchitetto inglese Frederick Catherwood, appassionati entrambi di storia maya. Facendosi strada con il machete attraverso la fitta vegetazione della foresta tropicale riescono a raggiungere Uxmal in due periodi diversi, annotando e disegnando ogni singolo edificio. Leggendo i loro resoconti ci si rende conto delle immense difficoltα che gli archeologi dovevano incontrare durante gli scavi nella giungla.
Nel suo diario di viaggio ôIncidents of Travel in Yucatßnö Stephens racconta: ôUscendo dalla selva si apr∞ davanti a noi un vasto campo sul quale sorge, grandioso e maestoso, lÆöEdificio del Nanoö (poi chiamato ôPiramide dellÆIndovinoö) che giα avevamo visto in precedenza, ma durante lÆanno della nostra assenza la natura aveva operato tanti cambiamenti. Le pareti dellÆelevata struttura che avevamo vista spoglia e nuda erano coperte ora da cespugli, erba e gramigna, e sulla cima crescevano arbusti e alberi alti circa sei metri. LÆöEdificio delle Monacheö era soffocato dal terriccio e il campo coperto da erbacce che arrivavano ad altezza dÆuomo ed impedivano la vista mentre lÆattraversavamo. Le fondamenta, i terrazzamenti e i tetti degli edifici erano coperti da piante rampicanti che spaccavano le pietre della facciata, ed i monticoli, le pedane e tutte le rovine erano un ammasso di vegetazione distruttiva. La forte e vigorosa natura aveva preso il predominio sullÆarte, stringendo la cittα in un abbraccio mortale, dandole sepoltura sul luogo.ö
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Nella Valle di Oaxaca, su uno sperone roccioso a duemila metri di altitudine, nasce nella seconda metα del I Millennio a.C. un sito spettacolare, Monte Albßn, cittα sacra agli Zapotechi, una civiltα raffinata e sofisticata che per lunghi secoli ha dominato le aspre terre delle sierre meridionali. Il centro cerimoniale venne costruito sul modello di Teotihuacßn - cittα nella quale gli Zapotechi avevano fondato un proprio quartiere - ma vi si svilupparono delle architetture e dei culti propri non privi di influenze olmeche e maya. NellÆXI sec.d.C. giunsero nella regione i Mixtechi che raccolsero lÆereditα zapoteca e diventarono maestri nellÆarte della gioielleria e della scultura.
[2411]
Il complesso cultuale emerge come una nave di pietra dalla vallata, circondata allÆorizzonte da alte montagne: sui lati estremi, a nord e a sud, del vasto piazzale si ergono due strutture piramidali con ripide gradinate che sovrastano templi, altari, palazzi e un ampio campo per il gioco della Pelota, costruiti al centro dellÆarea e lungo il ciglio est ed ovest del promontorio.
Le piramidi furono costruite secondo la tecnica del ôtalud-tableroö, con pareti oblique intervallate da ripide pareti incorniciate da lastroni, ed erano coperte di stucco dipinto e adorne di rilievi e sculture. Dei templi che coronavano la sommitα delle piramidi, riservate esclusivamente ai sacerdoti, non Φ rimasta traccia. Presso la piattaforma meridionale sono state trovate numerose stele con immagini di giaguaro e di Cocijo, Dio della Pioggia, mentre nella piattaforma settentrionale si vedono ancora resti di colonne - un elemento raro nellÆarchitettura delle antichissime culture mesoamericane - e due camere sepolcrali. Una rampa dava accesso al cosiddetto ôpatio hundidoö, una corte infossata tra due piattaforme con al centro un altare: un sistema cultuale che troviamo soltanto in ambiente zapoteco.
Un mistero circonda lÆôosservatorioö che gli archeologi chiamano ôMontφculo Jö (a Monte Albßn tutte le strutture sono indicate da lettere poichΘ al momento dello scavo spesso si ignorava la funzione degli edifici) e che risale al III sec.d.C.: spostato di 45 gradi rispetto al nord, Φ stato costruito a forma di punta di freccia con un corridoio interno e ricoperto di lastre, di cui alcune recano graffiti e rilievi geometrici e figurativi. Per la sua particolare ubicazione rispetto alla rigida composizione nord-sud dellÆarea sacra, si pensa che lÆedificio fosse legato alle osservazioni astronomiche.
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Il centro cerimoniale ed i palazzi costruiti sul ciglio del promontorio erano frequentati esclusivamente dai sacerdoti e dai nobili della teocratica societα zapoteca. Di particolare importanza doveva essere lÆedificio dei ôDanzantesö che risale al periodo di Monte Albßn III (300-700 d.C. circa) e che venne chiamato cos∞ per la presenza di numerose lastre istoriate con personaggi nudi che eseguono movimenti di danza. Le figure ricordano nei tratti la fisionomia olmeca in quanto hanno gli occhi obliqui e chiusi, le labbra carnose, il cranio deformato e diverse avevano sub∞to la mutilazione dei genitali. La loro identitα e funzione Φ oscura: forse si trattava di prigionieri destinati al sacrificio oppure di eruditi locali legati a riti oracolari.
Le stele dei ôDanzantesö sono pi∙ di trecento e almeno un terzo delle lastre vennero riutilizzate nei periodi successivi come materiale di costruzione. Intorno alle figure compaiono glifi e pittogrammi, nomi e cifre, che testimoniano le antichissime origini del sistema vigesimale usato nel mondo preispanico.
[2431]
Nel centro cerimoniale e lungo le pendici del promontorio di Monte Albßn sono state scoperte circa 200 tombe, di cui alcune ancora inviolate, colme di ricchi corredi funerari. Il sepolcro zapoteco Φ costituito da un ipogeo - talvolta a forma di croce - con tre ambienti rivestiti da lastre di pietra ricoperte di stucco e affrescate. Molte tombe venivano scavate sotto il patio dei palazzi ed erano riservate ad uno o pi∙ membri della stessa famiglia.
AllÆepoca del declino della cultura zapoteca, intorno al X secolo, giunsero qui i Mixtechi, un popolo guerriero con grandi capacitα artistiche e artigiane e la fusione tra lÆarte zapoteca e quella mixteca fu in grado di creare delle opere splendide. Monte Albßn, pur decaduta come capitale politica e amministrativa, continu≥ a mantenere il suo ruolo di centro religioso e molte tombe vennero riutilizzate dai nobili mixtechi.
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La scoperta della Tomba 7 e del suo tesoro costituisce uno degli avvenimenti pi∙ clamorosi della storia archeologica messicana. Nel gennaio del 1932 il grande archeologo Alfonso Caso e il suo assistente Ignacio Bernal riescono ad individuare la prima tomba pre-ispanica sfuggita nei secoli ai saccheggiatori e ai predatori, nascosta sotto il pavimento di una residenza nobile allÆesterno del centro cerimoniale. ôAd illuminare la terra della tomba vi erano perle, grandi quantitα dÆoro e innumerevoli scaglie di turchese che formavano un meraviglioso mosaicoö ricorda Alfonso Caso nelle sue memorie.
La tomba risale al periodo zapoteco classico, ma il ricco corredo funerario appartiene per la maggior parte allÆepoca mixteca. Il tesoro Φ composto da perle, coralli, cristalli di rocca e ambra in grande quantitα, da gioielli finemente cesellati in oro, argento e rame, da oggetti di giada, ossidiana e avorio e da un cranio umano rivestito da tessere di turchese e madreperla. La lavorazione dei gioielli con la tecnica della filigrana e lÆincrostazione di turchese Φ lÆarte nella quale i Mixtechi furono maestri indiscussi e le loro opere erano ammirate e ambite da tutti i popoli della Mesoamerica.
[2451]
I periodi storici di Monte Albßn sono suddivisi in cinque fasi:
Monte Albßn I risale al VI-III sec.a.C. quando si forma il primo insediamento a carattere urbano che rispecchia alcune influenze della civiltα olmeca.
Monte Albßn II si forma tra la fine del III sec.a.C. e il II sec.d.C. quando nasce il grandioso impianto del centro cerimoniale con templi e palazzi. Fiorente emporio commerciale, Monte Albßn attira un gran numero di persone e presto la cittα conta pi∙ di 10.000 abitanti. In quellÆepoca viene perfezionato un calendario di 260 giorni e si sviluppa la scrittura con glifi e pittogrammi.
Monte Albßn III rappresenta lÆapogeo della cittα tra il IV e lÆVIII sec.d.C.. Vengono ristrutturate le piramidi ed i templi che rispecchiano lÆinfluenza della cultura di Teotihuacßn, cittα con la quale gli Zapotechi intrattenevano ottimi rapporti. LÆattivitα artistica Φ al culmine e risalgono a questÆepoca i sepolcri ipogei riccamente ornati da pitture.
Monte Albßn IV vede tra il IX e il XII sec.d.C. i primi segni di declino della societα teocratica zapoteca. La regione di Oaxaca Φ frammentata in tanti piccoli feudi e gran parte del potere Φ ormai nelle mani dei Mixtechi. Monte Albßn riesce tuttavia a conservare il suo ruolo di centro religioso.
Monte Albßn V segna lÆultima fase della cittα dal XIII secolo fino allÆarrivo degli Spagnoli. La pacifica convivenza tra Mixtechi e Zapotechi viene interrotta dallÆinvasione degli Aztechi che gravano la regione di pesanti tributi. Nel 1521 Monte Albßn viene occupata dai Conquistadores.
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Del nome originario di Monte Albßn - chiamata cos∞ dagli Spagnoli perchΘ spesso nuvole bianche la nascondevano alla vista - si Φ persa la memoria.
AllÆepoca dellÆoccupazione spagnola, dopo essere stata depredata di quasi tutti i suoi tesori, la cittα ed il suo centro cerimoniale cessarono definitivamente di esistere, anche perchΘ i Conquistadores avevano fondato a valle un nuovo insediamento chiamato prima Antequera e poi Oaxaca.
[2461]
NellÆOttocento giunsero sul luogo alcuni viaggiatori e architetti spagnoli e tedeschi che esplorarono la Valle di Oaxaca e disegnarono le poche rovine superstiti. Nel 1902 lÆarcheologo dilettante Leopoldo Batres scopr∞ alcune stele dei ôDanzantesö che vennero smantellate e portate a Cittα del Messico.
La grande svolta arriv≥ con lÆarcheologo messicano Alfonso Caso, il quale, insieme a Ignacio Bernal e a Jorge Acosta, inizi≥ i primi scavi scientifici a partire dal 1927. In lunghi anni di lavoro Caso fece riemergere il monumentale centro cerimoniale con i palazzi, le piramidi, i templi e i primi sepolcri di Monte Albßn, e nel 1932 scopr∞ il favoloso Tesoro della Tomba 7. A tuttÆoggi non si Φ terminato di esplorare la vastissima area archeologica ed ogni nuova scoperta aiuta a conoscere sempre meglio la complessa storia degli Zapotechi e dei Mixtechi.
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Splendida doveva apparire Palenque sullo sfondo verde cupo della foresta con i suoi monumenti dipinti di rosso allÆepoca in cui gli antichi Maya adoravano le loro divinitα e onoravano il proprio re come un dio. Anche se oggi i colori sono svaniti e della vita dei suoi abitanti non restano che flebili eco, la cittα ha mantenuto il suo fascino e basta addentrarsi di pochi metri nella lussureggiante vegetazione che la circonda per ritrovarsi in un mondo mai dimenticato.
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Nelle ôterre caldeö dove si incontrano la piana del Campeche e gli altipiani del Chiapas, e dove la foresta tropicale domina sovrana, sorge la cittα di Palenque, sublime esempio di architettura maya di epoca Classica, paragonabile solo a Tikal in Guatemala e a Copßn in Honduras.
Sebbene il sito fosse giα occupato nel I sec.a.C., la cittα conosce il suo massimo splendore nel VII sec.d.C., quando il regno Φ guidato dal sovrano Kin Pacal (615 - 683 d.C.) e poi da suo figlio Chan Bahlum (683 - 702 d.C.).
Quello che oggi vediamo di Palenque - il cui antico nome era probabilmente ôOtulumö (ôcase fortificateö) e che venne ribattezzata in seguito dagli Spagnoli - non Φ che una minima parte di una cittα che si estendeva per ben 15 chilometri quadrati. Gli edifici pi∙ importanti, come il Gruppo della Croce, il Tempio delle Iscrizioni e il Palazzo, sono tutti databili ad un periodo che va dallÆinizio del VII secolo alla metα dellÆVIII secolo, quando Palenque e i suoi sovrani dominavano un vasto territorio.
Giα nellÆVIII secolo la cittα subisce una sempre pi∙ forte influenza da parte di Toninß, un sito maya distante unÆottantina di chilometri, ma la definitiva decadenza e il successivo abbandono avvengono soltanto nel X secolo, probabilmente a causa dellÆarrivo di nuove popolazioni provenienti dal Golfo del Messico.
Gran parte della sua storia Palenque la porta scritta su i suoi monumenti sotto forma di rilievi o di glifi e lÆuniverso maya si esprime attraverso le sue architetture: il mondo dei mortali Φ rappresentato dal Palazzo e il mondo degli Dei dai Templi del Gruppo della Croce, mentre il Tempio delle Iscrizioni Φ il luogo dove lÆuomo si fa Dio.
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Dalla cima della piramide del Tempio delle Iscrizioni il mondo sottostante appare lontano: lÆimmensa gradinata sparisce e lo sguardo spazia sullÆantico territorio di Palenque, dove domina la foresta tropicale, i cui rami pi∙ alti talvolta si aprono per far emergere le cime di altre piramidi. Il cielo sembra vicino e i sacerdoti maya si sentivano sicuramente a stretto contatto con le divinitα che lo abitavano.
Il Tempio delle Iscrizioni non Φ soltanto un luogo sacro, ma la testimonianza in pietra della dinastia pi∙ potente di Palenque. I pilastri della facciata sono decorati con stucchi che mostrano il re Pacal insieme al Dio K, una divinitα legata alla classe regnante. In origine i rilievi erano dipinti e i colori non venivano scelti a caso, ma avevano un significato ben preciso: il rosso serviva per dipingere il corpo umano e le parti umane delle figure antropomorfe ed era quindi il colore del mondo degli uomini; il giallo veniva usato per le immagini dei giaguari, delle piante acquatiche e dei serpenti, tutti simboli dellÆInframondo; il blu era invece il colore del Cielo e in questa tonalitα erano rappresentati gli Dei e gli attributi divini del re.
Sulle pareti interne del Tempio sono scolpiti pi∙ di 600 glifi che illustrano quasi 150 anni di storia della cittα. Grazie a queste immagini lÆepigrafista tedesco Heinrich Berlin riusc∞ nel 1958 a individuare i cosiddetti ôglifi emblematiciö (glifi che indicano nomi di sovrani o di cittα come i ôcartigliö degli antichi egizi) che fecero fare un grande passo avanti per la decifrazione della scrittura maya.
Negli anni Cinquanta la Piramide delle Iscrizioni svel≥ un altro segreto: nelle sue viscere era sepolto un grande sovrano, forse quel Kin Pacal che aveva regnato su Palenque per settantÆanni e che qui riposava assieme al suo tesoro di giada. La scoperta, fatta dallÆarcheologo Alberto Ruz Lhiullier, fu fondamentale per la conoscenza del mondo maya, poichΘ fino ad allora si era creduto che le piramidi fossero solamente edifici per il culto e non anche monumenti funebri.
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Davanti al Palazzo, sulla riva opposta del fiume che attraversava la cittα, sorge un gruppo omogeneo di tre templi: il Tempio della Croce, quello della Croce Fogliata e il Tempio del Sole. Questo gruppo fu fatto erigere dal re Chan Bahlum (o Chan Balßm - ôSerpente Giaguaroö), figlio del potente sovrano Pacal, per celebrare la sua ascesa al trono nel 683 d.C..
La struttura Φ simile per tutti e tre i templi: su una piattaforma artificiale o naturale si eleva un edificio a pianta rettangolare sul cui tetto si alza una cresta, in origine ornata con figure di stucco. Coperti da decorazioni erano anche gli spioventi del tetto e i pilastri che scandiscono la facciata. LÆinterno Φ diviso in tre stanze e quella centrale custodisce un piccolo santuario con pannelli a rilievo.
Il Tempio della Croce, il primo probabilmente ad essere stato costruito, venne chiamato cos∞ perchΘ il grande pannello interno mostra un Albero della Vita (la ôceibaö che affonda le radici nellÆInframondo, attraversa il mondo degli uomini con il suo tronco e arriva al Cielo con i suoi rami) che agli occhi dei primi scopritori apparve come un Croce. Ai lati dellÆAlbero si vede il re Pacal che trasmette al figlio i simboli del potere.
Nel rilievo del Tempio della Croce Fogliata lÆAlbero della Vita Φ ornato da pannocchie di mais, un simbolo di fertilitα rafforzato dallÆimmagine di Chan Bahlum che si appresta a compiere un autosacrificio.
Il Tempio del Sole mostra invece dei giaguari e si pensa quindi che fosse dedicato ai sacrifici e alla guerra.
Ai tre Templi erano associate altrettante divinitα di cui non si conoscono i nomi e perci≥ chiamate ôG Iö, ôG IIö e ôG IIIö o ôTriade di Palenqueö. Ricordati anche nel libro sacro ôPopol Vuhö, sono Dei che rappresentano i diversi aspetti del Sole e che venivano considerati dai Maya i progenitori delle stirpi reali.
[2541]
Al centro della cittα, su una piattaforma alta 10 metri, venne eretto il cosiddetto ôPalazzoö. In realtα si tratta di pi∙ edifici che si addossano lÆuno allÆaltro e che furono costruiti in un arco di 120 anni. La struttura pi∙ antica, attorno alla quale si sono sviluppate le successive, sarebbe databile al 600 d.C. circa, anni in cui Palenque era governata dalla regina Zak Kuk, madre di Pacal.
Tutti gli edifici si aprono su delle corti interne e sono decorati con scene di incoronazione o di imprese dei sovrani e ci≥ fa pensare che lÆintero complesso fosse usato come residenza per la classe dirigente o comunque come centro amministrativo del potere.
Come in quasi tutte le cittα maya, le costruzioni di Palenque erano coperte da uno strato di stucco rosso, su cui spiccavano i rilievi dipinti in colori sgargianti, come giallo, verde e blu. I bassorilievi e gli stucchi del Palazzo sono di incredibile finezza stilistica e i personaggi sono ritratti realisticamente, come nella scena in cui Pacal riceve le insegne reali dalla regina-madre. Come simbolo del potere e della forza di Palenque appaiono numerose rappresentazioni di schiavi, talvolta anche di alto rango a giudicare dalle vesti sfarzose.
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Quando, nel 1949, lÆarcheologo Alberto Ruz Lhiullier - di famiglia franco-cubana, ma messicano dÆadozione - mise in luce una botola nel pavimento del Tempio delle Iscrizioni di Palenque, non aveva la minima idea di aver fatto una delle pi∙ grandi scoperte sulla civiltα maya.
Le successive campagne di scavo furono dedicate allo sgombero dei materiali (terra, pietre e calce) che ostruivano una scala che scendeva sotto la misteriosa apertura e arrivava ad un livello pi∙ basso del basamento della piramide.
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Finalmente nel 1952 Alberto Ruz apr∞ la porta che si trovava ai piedi della gradinata: ôEntrai nella misteriosa cameraö - racconta lÆarcheologo - ôcon la strana sensazione di essere il primo che calpestava quella soglia dopo mille anni. Cercai di guardarla con gli stessi occhi con cui la videro i sacerdoti di Palenque, quando lasciarono la cripta: volevo cancellare i secoli e ascoltare le vibrazioni delle ultime voci umane; mi sforzavo di capire il messaggio che gli antichi avevano lasciato inviolato per noiö.
Ormai non cÆerano pi∙ dubbi: davanti agli esploratori si trovava lÆultima dimora di un importante personaggio maya. Le pareti della camera sepolcrale erano decorate con nove figure, forse antenati o divinitα dellÆInframondo, mentre al centro del pavimento si trovava un massiccio sarcofago di calcare. La lastra che chiudeva la sepoltura era istoriata da un bassorilievo che mostra il re tra le fauci del Mostro Terrestre (unÆallegoria della discesa nellÆaldilα), mentre sopra di lui svetta lÆAlbero della Vita, sulla cui sommitα sta appollaiato Itzamnß, il Dio Supremo nelle vesti di un ibrido metα uccello e metα serpente. Sollevato il coperchio, Ruz potΦ guardare infine in viso lÆantico sovrano: ôLa prima impressione fu quella di contemplare un mosaico verde, rosso e bianco. Poi il mosaico si scompose in dettagli: ornamenti di verde giada, ossa e denti dipinti di rosso e frammenti di una mascheraö.
Il corredo funerario era ricchissimo: una maschera, un diadema, orecchini, una collana, un pettorale, bracciali, anelli e statuine tutti in giada, nonchΘ preziose teste a tutto tondo in stucco, forse ritratti del sovrano stesso.
Sebbene molti studiosi abbiamo identificato il defunto con il re Kin Pacal (ôScudo Solareö, dal glifo che lo rappresenta), Alberto Ruz non fu mai dÆaccordo con questa interpretazione e a tuttÆoggi non cÆΦ ancora una spiegazione definitiva.
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Quando il capitano dÆartiglieria Antonio del Rφo scopr∞ Palenque nel 1785, la cittα era ormai disabitata da pi∙ di 700 anni. Del Rφo esplor≥ con metodi ômilitariö e ben poco scientifici e scrisse una relazione per il re di Spagna Carlo III di Borbone, che rimase inedita fino al 1822. Questo rapporto, pubblicato poi a Londra, suscit≥ lÆinteresse del sedicente conte cecoslovacco Jean-FrΘdΘric Waldeck, un uomo dalla personalitα eccentrica che aveva partecipato alle campagne dÆEgitto napoleoniche. Waldeck visse a Palenque dal 1831 al 1833, occupando come residenza un tempio in rovina che da allora venne chiamato ôTemplo del Condeö. I suoi disegni, seppur di notevole effetto, non erano ricostruzioni fedeli dei rilievi e dei glifi che apparivano sui monumenti della cittα, ma interpretazioni fantasiose che agli autentici elementi maya univano immagini desunte dai mondi egizio, greco, mesopotamico e indiano.
A Palenque, intorno al 1840, soggiornarono anche John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood, gli esploratori che con i loro racconti e disegni fecero conoscere le rovine degli antichi Maya in tutto il mondo.
Da allora molti studiosi si sono sperimentati a Palenque, ma i primi veri scavi scientifici furono condotti negli anni Trenta dallÆarcheologo Miguel Angel Fernandez e quindi, dal 1949 al 1958, da Alberto Ruz Lhuillier. A Ruz dobbiamo la sistemazione ed il restauro di quasi tutto il sito di Palenque e soprattutto la clamorosa scoperta di una tomba allÆinterno di una piramide maya, la prima di una lunga serie. Infatti dallÆinizio degli anni Novanta sono state rinvenute a Palenque pi∙ di 10 tombe, tra cui quella della ôRegina Rossaö, cos∞ chiamata perchΘ la defunta - sicuramente una nobildonna, vista la ricchezza del suo corredo - era completamente coperta dalla polvere
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I Maya provengono tutti da una radice culturale comune, ma svilupperanno poi espressioni religiose, sociali e artistiche individuali. Nel periodo detto Post-Classico, intorno al X û XII secolo, il mondo maya attraversa una grave crisi e le dinastie sono costrette ad allearsi militarmente con popolazioni di origine straniera come i Toltechi di Tula. Accade cos∞ che molte istituzioni politico-sociali vengono sovvertite e ai sovrani-sacerdoti si sostituiscono dei re-guerrieri. Nasce allora una capitale potente e autorevole, ChichΘn Itzß, orgogliosa metropoli maya-tolteca che dominerα lo Yucatßn per circa tre secoli.
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SullÆorigine delle genti che nel IX secolo occuparono ChichΘn Itzß, guidate da un capo che prese il nome maya di Kukulkßn, si Φ discusso a lungo. Erano trib∙ di lontana origine maya tornate dopo varie migrazioni in patria o erano invece Toltechi cacciati da Tula e approdati nello Yucatßn dopo un lungo viaggio per mare e per terra? Il loro capo era davvero il mitico sovrano divinizzato Quetzalc≤atl, esiliato da Tula?
Di certo la capitale ChichΘn Itzß - il cui nome significa ôsul ciglio del pozzo degli Itzßö - venne costruita con un mirabile connubio tra elementi maya e toltechi: il grande piazzale cerimoniale avrebbe rappresentato, secondo il pensiero maya, il mare primordiale della creazione, mentre ôEl Castilloö sarebbe stato la montagna dove la mitica Prima Madre avrebbe modellato gli uomini nel mais. Su questa struttura maya i Toltechi introdussero i simboli delle loro tradizioni guerresche come il ômuro dei craniö, i Chac-mool e le immagini di serpenti, giaguari, aquile e ôatlantiö.
Con lÆarrivo della trib∙ tolteca degli Itzß la societα, in contrasto con lÆideologia maya, si militarizz≥ profondamente e forse la fine della cittα, che risale al XIV secolo, Φ da attribuire alla ribellione delle popolazioni locali contro i dominatori stranieri.
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A dominare il centro cerimoniale di ChichΘn Itzß si erge ôEl Castilloö, la grande piramide maya-tolteca dedicata al re-eroe Kukulkßn.
Primo monumento costruito dalla trib∙ tolteca degli Itzß dopo il loro arrivo alla fine del X secolo, la piramide venne eretta inglobando un pi∙ antico edificio sacro maya ed elevando sulla sommitα un tempio, al cui interno sono stati trovati un Chac-mool (un altare antropomorfo con un recipiente per le offerte) e un trono a forma di giaguaro, dipinto di rosso e decorato con dischetti di giada per simulare le macchie del manto.
Di dimensioni gigantesche, con una base di 55 metri per lato ed unÆaltezza di 30 metri, ôEl Castilloö Φ la celebrazione in pietra del divino Kukulkßn-Quetzalc≤atl: le quattro scalinate hanno i parapetti ornati da lunghissimi ôserpenti piumatiö le cui fauci si aprono nel piazzale sottostante, mentre le colonne del tempio sono serpenti a sonagli la cui coda sostiene un architrave.
Kukulkßn fa la sua apparizione nei giorni degli equinozi (a Marzo e a Settembre) quando lÆombra delle nove terrazze si proietta sul muro nord-ovest creando lÆimmagine di un serpente che striscia lungo la piramide.
LÆimportanza dei calcoli astronomico-calendariali Φ ribadita in tutto il monumento: le quattro scalinate che scandiscono la piramide contano ognuna 91 gradini per una somma totale di 364; se vi aggiungiamo lÆunico gradino del tempio il conto finale Φ di 365, lÆesatto numero dei giorni di un ciclo solare.
Come i raggi del sole, da ôEl Castilloö partono numerosi ôsacbeoobö - le strade maya in terra battuta o pavimentate a seconda dellÆimportanza - tra cui quello principale che conduce al Cenote Sacro, il grande pozzo dedicato ai sacrifici e alle offerte.
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Il gigantesco Campo per il Gioco della Pelota lascia lo spettatore stupefatto: la corte misura circa 170 metri di lunghezza e circa 50 metri di larghezza, mentre i muri laterali - verticali e ornati da una fascia a forma di serpente - sono alti quasi 8 metri e gli anelli sono fissati ad unÆaltezza di 7 metri e mezzo. Guardando quei bersagli cos∞ alti viene spontaneo chiedersi come i giocatori potessero lanciare la pesante palla di caucci∙ fino a lass∙ senza usare le mani, colpendola soltanto con i gomiti, le ginocchia ed i fianchi.
Nel gioco della pelota di ChichΘn Itzß si fronteggiavano due squadre formate da sette elementi ciascuna e le loro immagini sono immortalate sui rilievi che corrono lungo la base dei muri: vediamo i giocatori protetti da larghe cinture che coprivano le parti vulnerabili, dalle anche alle ascelle, e da paracolpi sulle braccia e sulle ginocchia, e molte scene mostrano il rituale sacrificio dei perdenti per decapitazione.
Sui lati nord e sud il Campo era delimitato da ampie piattaforme con due templi dedicati al Sole e alla Luna, anchÆessi coperti interamente da bassorilievi.
La grande ôPelotaö Φ uno dei nove campi esistenti a ChichΘn Itzß ed Φ il pi∙ grande di tutta la Mesoamerica.
Addossata al muro esterno si trova una piramide tronca, chiamata ôTempio dei Giaguariö, che nella parte bassa possiede una camera decorata da rilievi nella quale Φ esposto un trono di pietra a forma di giaguaro. La sala superiore, sorretta da due giganteschi serpenti a sonagli, era adibita a stanza rituale durante i giochi.
Poco oltre il Campo della Pelota i Toltechi costruirono la piattaforma dello ôTzompantliö e quella della ôCasa delle Aquileö. Sullo ôTzompantliö, o ômuro dei craniö, venivano esibiti i teschi dei giocatori sacrificati: i Toltechi avevano introdotto questo rito crudele nel mondo maya, in cui esisteva sφ il sacrificio umano, ma non aveva mai raggiunto livelli cos∞ ossessivi. LÆimportanza del sacrificio di sangue nelle societα guerriere appare chiaro anche dai rilievi che decorano la ôCasa delle Aquileö, dove giaguari e rapaci - entrambi rappresentanti gli ordini militari, nonchΘ rispettivamente simboli del Sole notturno e del Sole diurno - divorano cuori umani.
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Perfetta unione tra architettura maya e architettura tolteca Φ il Tempio dei Guerrieri che sorge su una bassa piramide a quattro livelli che ricorda il ôTempio della Stella del Mattinoö di Tula, da cui provenivano i battaglieri Itzß. La gradinata centrale, ornata da teste di serpenti piumati, conduce al Tempio scandito a sua volta da colonne con lÆimmagine di Kukulkßn-Quetzalc≤atl. Sui muri esterni dellÆedificio le statuine dellÆeroe divino sono invece incorniciate da maschere di Chac con il caratteristico lungo naso a proboscide.
Dalla sommitα della piramide un grande Chac-mool guarda verso il portico sottostante dove pi∙ di 40 pilastri sono istoriati con immagini di guerrieri dai pettorali a farfalla, con giaguari e con aquile.
Luogo di riunione dei guerrieri Itzß era lÆadiacente sala, chiamata delle ôMille Colonneö per la selva di colonne a rocchi di pietra che sostenevano il tetto. La colonna come elemento portante, sconosciuta ai Maya, venne ôimportataö dai Toltechi che lÆavevano giα sperimentata a Tula: con questa struttura, su cui poggiavano travi di legno che sostenevano un tetto in pietra, era possibile ampliare a piacimento le dimensioni di un unico ambiente. Purtroppo le intemperie e lÆumiditα hanno fatto sφ che le parti in legno si deteriorassero al punto da non reggere la pesante copertura che giα allÆarrivo degli Spagnoli giaceva disordinatamente sul suolo.
Di fronte alle ôMille Colonneö si trova un altro edificio porticato, detto il ôMercatoö, sul cui muro di fondo Φ rappresentata una processione di guerrieri incorniciata da serpenti piumati.
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Una leggenda su Kukulkßn-Quetzalc≤atl vuole che lÆeroe sia asceso al cielo trasformandosi in ôStella del Mattinoö, cioΦ nel pianeta Venere. A ChichΘn Itzß due piattaforme sono dedicate al Dio in questa veste ed egli vi appare con gli attributi di uccello e di serpente.
Le osservazioni astronomiche per≥ avvenivano probabilmente dal ôCaracolö, uno dei pochi edifici a pianta circolare del mondo maya e tolteco. Su un doppio basamento dagli angoli smussati venne costruito un edificio in semplici blocchi di pietra levigata scandito da quattro porte, mentre sul tamburo superiore furono applicate delle maschere di Chac in corrispondenza delle aperture. Un ulteriore piano presenta invece delle finestrelle da cui forse si affacciavano i sacerdoti-astronomi per scrutare il cielo.
Il nome ôCaracolö ricorda la scala ôa chiocciolaö che, protetta da un muro circolare interno, porta al secondo piano. Qui, senza strumenti se non due assicelle di legno incrociate, i sacerdoti potevano seguire il cammino del Sole e della Luna e studiare esattamente lÆarrivo dei solstizi (a Giugno e Dicembre) e degli equinozi (a Marzo e Settembre). La loro perizia nel calcolare lo scorrere del tempo li aveva portati a basarsi su un calendario solare di 365 giorni, con uno scarto infinitesimale su quello stabilito dagli astronomi moderni.
In un mondo in cui tutto era permeato dal tocco divino e nessun atto poteva svolgersi senza prima conoscere il parere degli Dei, i sacerdoti-astronomi erano tenuti nella massima considerazione, poichΘ gli allineamenti degli astri e dei pianeti venivano visti come incontri o scontri tra divinitα che in tale modo esprimevano il proprio volere.
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NellÆarea della cosiddetta ôChichΘn Vecchiaö si sono conservate alcune splendide architetture maya - la ôCasa Rossaö, il ôComplesso delle Monacheö, la ôTomba del Gran Sacerdoteö - concepite per la maggior parte nella combinazione degli stili ôpuuc-chenesö.
Il vasto ôComplesso delle Monacheö - chiamato cos∞ dai primi scopritori perchΘ somiglia nella struttura ad un convento ed era creduto residenza dei sacerdoti - venne costruito nel periodo Classico Tardo e decorato sulla facciata principale da intrecci geometrici, mentre gli angoli arrotondati sono formati da maschere sovrapposte di Chac. Gli edifici annessi e la cosiddetta ôIglesiaö rappresentano un monumentale omaggio al Dio della Pioggia Chaac, con numerosi mascheroni dalle fauci spalancate e fregi con serpenti stilizzati. Isolata sul portale orientale si trova invece una rara scultura di figura umana incorniciata da un ventaglio di piume.
I Toltechi inserirono alcune strutture nel vecchio nucleo maya come ad esempio il Tempio dei Pannelli Dipinti, che recava immagini di guerrieri e giaguari. La Tomba del Gran Sacerdote (detta anche ôOssarioö) era probabilmente dedicata al Dio Supremo Itzamnß, rappresentato in veste di uccello-serpente che venne assimilato dai Toltechi a Kukulkßn-Quetzalc≤atl come divinitα benefica. La Tomba del Gran Sacerdote consiste in una struttura piramidale costruita sopra un pozzo e nel suo interno sono state rinvenute sette tombe con numerosi scheletri accompagnati da ricche offerte.
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La ricchezza dello Yucatßn Φ in parte dovuta ai numerosi pozzi naturali, alimentati dalle sorgenti sotterranee e dallÆacqua piovana, che sono chiamati ôcenotesö.
Gli Spagnoli coniarono la parola ôcenoteö storpiando quella maya ôdzonotö che significa appunto ôpozzoö.
Le antiche popolazioni usavano anche il termine ôchenö ed infatti ChichΘn Itzß pu≥ essere tradotta con ôsul ciglio del pozzo degli Itzßö.
E proprio qui si trova il pi∙ famoso Cenote dello Yucatßn.
[2671]
Oltre che per lÆapprovvigionamento idrico, i cenotes erano considerati luoghi sacri, dove la vicinanza con il Dio della Pioggia e dellÆAcqua si faceva pi∙ stretta. Per onorare e ingraziarsi il Dio nei pozzi venivano gettate offerte di ogni tipo, da statue di legno a gioielli di giada, da animali ad esseri umani destinati al sacrificio. A questa cerimonia assistette alla metα del XVI secolo il vescovo Diego de Landa e ne diede un resoconto cos∞ atroce - giovani vergini e bambini spinti nel cenote ancora vivi - che ancora nellÆOttocento John Lloyd Stephens guardava con raccapriccio quelle aperture nel terreno: ôera come se il genio del silenzio regnasse ancora l∞ dentro. UnÆinfluenza misteriosa sembrava pervaderlo, a memoria di quando il pozzo di ChichΘn era meta di pellegrinaggio e le vittime umane vi erano gettate dentro, sacrificate agli Deiö.
Dagli inizi del Novecento molti cenotes sono stati esplorati e, sebbene siano stati rinvenuti diversi scheletri umani (molti uomini adulti, pochi bambini e pochissime donne), le scoperte pi∙ eclatanti riguardano le offerte in legno, pietre preziose e oro: dal solo Cenote Sacro di ChichΘn Itzß sono riemersi pi∙ di 4000 reperti, tra cui gioielli provenienti dalla lontana Colombia e idoli di sicura fabbricazione olmeca, conservati per secoli per essere infine usati oggetti votivi.
Testo originale della citazione di Stephens:
ôit was still as if the genius of silence reigned within. A mysterious influence seemed to pervade it, in unison with the historical account that the well of ChichΘn was a place of pilgrimage, and that human victims were thrown into it in sacrificeö.
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AllÆepoca dei Conquistadores, dopo feroci combattimenti tra gli Spagnoli e le trib∙ indigene degli Itzß e dei Cocomes, il capitano Francisco Montejo) occup≥ ChichΘn Itzß nel 1531, ribattezzandola Ciudad Real.
Nel 1566 giunse qui il vescovo Diego de Landa, implacabile nellÆevangelizzazione forzata dei nativi,
ma anche accurato cronista: le sue descrizioni delle cittα maya servirono a molti archeologi per orientarsi tra le rovine.
[2681]
La riscoperta di ChichΘn Itzß risale allÆOttocento, quando numerosi viaggiatori si avventurarono nello Yucatßn: gli esploratori Stephens e Catherwood, lo studioso Maudslay, i fotografi Maler, Holmes e Charnay, ai quali dobbiamo le prime immagini realistiche, e lÆ ôarcheologoö francese Le Plongeon, che trov≥ nel 1875 la prima figura antropomorfa seduta a gambe piegate che regge sul ventre la coppa per i sacrifici e a cui diede il nome di ôChac-moolö.
Intorno al 1900 il console statunitense Edward Thompson esplor≥ per primo il Cenote Sacro, indagato successivamente con metodi scientifici dagli archeologi dellÆINAH messicano (Istituto Nazionale di Antropologia e Storia) e della National Geographic Society. A partire dal 1923 oper≥ a ChichΘn Itzß una missione congiunta statunitense-messicana finanziata dalla Carnegie Institution di Washington. In quel periodo vennero esplorati e restaurati ôEl Castilloö e lÆarea di ôChichΘn Viejoö con al centro il ôCaracolö.
Nel 1968 i lavori sono proseguiti sotto la direzione dellÆantropologo messicano Romßn Pi±a Chan, grande studioso di mitologia che ha scritto un saggio fondamentale sulle molteplici versioni del mito di Quetzalc≤atl, lÆeroe che dalla lontana Tula giunse fino a ChichΘn Itzß.
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Quali furono i popoli dellÆantico Messico, quale la loro cultura e quali i territori che essi occuparono? Gli storici hanno individuato cinque regioni archeologiche principali: i territori meridionali - lo Yucatßn, il Campeche, il Chiapas e il Quintana Roo - abitati dai Maya; le zone costiere del Golfo del Messico dove vissero gli Olmechi, i Totonachi e gli Huastechi; le sierre e le vallate di Oaxaca dove si stabilirono gli Zapotechi ed i Mixtechi; lÆaltopiano centrale che vide lÆevolversi della Cultura di Teotihuacßn e che venne poi occupato dai Toltechi, dai Chichimechi e dagli Aztechi; e le terre vulcaniche a ovest dove sÆinsediarono i Taraschi.
Ognuna di quelle civiltα ha lasciato delle testimonianze indelebili sul territorio che oggi possiamo esplorare ed ammirare per comprendere meglio lÆevoluzione culturale di un paese immenso come il Messico, con la sua storia millenaria che sembrava doversi interrompere bruscamente alla fatidica data del 1521, quando le truppe di Hernßn CortΘs distrussero Tenochtitlßn.
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ôPi∙ acqua che terraö chiamavano gli antichi le regioni calde del Golfo, tra lo Stato del Veracruz e il Tabasco, ricche di fiumi, paludi e lagune, coperte da una fitta vegetazione tropicale e molto fertili, con piantagioni di cacao, vaniglia, cocco e banane. Terra dÆorigine degli Olmechi, la ôcultura-madreö della Mesoamerica, e abitato poi da Totonachi e Huastechi, il Golfo venne raggiunto in seguito da numerose trib∙ che dal Messico centrale migrarono verso lo Yucatßn. Tra il 1518 e il 1519 vi sbarcarono i primi europei - Juan de Grijalva e Hernßn CortΘs - ma la loro permanenza fu breve e soltanto nel 1540 il capitano Francisco de Montejo riusc∞ a sottomettere parte della regione alla Corona Spagnola.
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San Lorenzo Tenochtitlßn Φ il pi∙ antico insediamento olmeco, abitato fin dal 1500 a.C., e probabilmente la prima cittα-stato della Mesoamerica, raggiungibile soltanto per via fluviale e sorta in mezzo alle paludi su unÆalta piattaforma artificiale per sfuggire alle inondazioni.
Del sito non rimangono che poche tracce poichΘ le costruzioni degli Olmechi erano fatte di argilla, paglia, canne e legno, tutti materiali deperibili che nei secoli sono tornati alla terra e alla natura. Tuttavia San Lorenzo ci ha lasciato delle testimonianze preziose in campo artistico: altari, statue, oggetti di ossidiana e le ôteste gigantiö, quei misteriosi volti colossali di pietra dallÆespressione altezzosa di cui sono stati trovati fino ad oggi 10 esemplari (lÆultima scoperta risale al 1994).
San Lorenzo venne abbandonata nel X sec.a.C. ed il potere politico e religioso si spost≥ a La Venta. La fine della cittα fu violenta: gli archeologi hanno trovato le stele divelte, gli altari spezzati e le teste rovesciate, forate e scheggiate. Chi si era potuto accanire con una tale furia distruttiva contro la cittα, e soprattutto perchΦ? Finora a questa domanda gli storici non sono riusciti a dare una risposta.
[31021]
Tra acquitrini e campi infiniti di canne si trova il villaggio di Tres Zapotes, un tempo importante centro olmeco che venne scoperto nel 1858, quando, durante i lavori in una fattoria, riemerse dal terreno la prima ôtesta colossaleö, databile intorno al II-I sec.a.C.
Tres Zapotes fu uno degli ultimi centri olmechi nati dopo il declino di La Venta nel VII sec.a.C. quando altre popolazioni occuparono la regione. Nel sito antico - che oggi consiste in una piccola area recintata adibita a museo a cielo aperto nel centro del villaggio - lÆarcheologo Matthew Stirling trov≥ nel 1939 una stele spezzata (lÆaltra metα Φ stata recuperata soltanto nel 1969) che recava lÆiscrizione calendariale ô7 baktun - 16 katun - 6 tun - 16 uinal - 18 kinö, che secondo il ôconto lungoö del sistema maya corrisponde allÆanno 31 a.C., la pi∙ antica data certa mai rinvenuta.
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Dalle vaste pianure meridionali del Golfo emerge un solo massiccio vulcanico, quello di Las Tuxtlas, che circonda il Lago di Catemaco. Siamo ancora in terra olmeca e sugli isolotti in mezzo al Lago sono stati trovati numerosi reperti appartenenti allÆôorizzonte olmecoö e a popolazioni autoctone di lingua nahua.
Nel territorio di Las Tuxtlas Φ stata scoperta la cosiddetta ôStele di Mojarraö, una lastra con rilievi che mostra influenze maya ed Φ databile tra il 143 e il 156 d.C. e che appartiene perci≥ al periodo della definitiva sparizione degli Olmechi dalle terre del Golfo. La stele mostra lÆimmagine di un sovrano e reca 577 glifi sulla cui interpretazione gli studiosi sono ancora incerti.
Il Lago di Catemaco, pescosissimo e circondato da altissime palme e da tratti di foresta pluviale ancora vergine (famosa per la presenza di ôcuranderos y brujosö, guaritori e stregoni), Φ oggi un vasto parco ecologico e luogo di villeggiatura.
[31041]
Non lontano dalla capitale del Tabasco, Villahermosa, sorge lÆarea archeologica di Comalcalco risalente alla fine del periodo Classico, tra il 600 e il 900 d.C., e che fu lÆavamposto pi∙ occidentale dei Maya.
Comalcalco possiede delle vestigia grandiose che stilisticamente ricordano Palenque, ma che sono costruite in mattoni, tenuti insieme da malta impastata con conchiglie frantumate. Molti mattoni erano decorati con simboli antropomorfi e geometrici, ma i disegni non erano rivolti verso lÆesterno, bens∞ nascosti nellÆinterno. Tutti gli edifici erano ricoperti di stucco bianco - si vedono ancora larghe tracce sulle gradinate delle piramidi - dipinto poi in rosso, blu e nero.
Vi erano otto templi e una ôacropoliö, sulla quale venne edificato - oltre a due templi - un imponente palazzo con gallerie, cortili, opere idrauliche e grondaie a forma di coccodrillo. Sul fianco dellÆacropoli Φ stata scoperta una tomba detta dei ôNove Deiö perchΘ vi sono rappresentati i nove ôSignori dellÆInframondoö che i Maya chiamavano ôBolontik·ö.
DallÆalto dellÆacropoli lo sguardo spazia a 360 gradi sullÆorizzonte, segnato come una linea netta che divide il cielo dal mare verde della foresta tropicale.
[31051]
Scorrono lente le acque nel vasto letto del fiume Papaloapan che dette il suo nome alla cultura che vi si svilupp≥ durante il I millennio d.C., chiamata Papaloapan-Rφo Blanco.
Nella regione furono trovate migliaia di statue e figurine in terracotta di straordinaria fattura ed espressivitα che raffigurano indifferentemente personaggi femminili e maschili: sacerdoti e sacerdotesse dalle braccia spalancate, vestite con larghe gonne e lÆöhiupilö, un indumento indigeno senza cuciture; le inquietanti ôSignore della terraö, identificate come rappresentanti della divinitα Cihuateotl - associata alle donne morte di parto - che mostrano il torso nudo, la gonna cinta da serpenti e la bocca aperta come in un canto oratorio; ed infine le meravigliose ôcaritas sonrientesö - i piccoli volti sorridenti - ritratte in uno scoppio di risa irresistibile con la linguetta sporgente tra i denti aguzzi. ╚ difficile credere che queste creature dallÆallegria solare fossero legate a riti di morte, poichΘ erano offerte votive lasciate nei sepolcri. Ma, come dice il grande poeta messicano Octavio Paz, ôla relazione tra il riso e il sacrificio Φ tanto antica quanto il rito stessoö poichΦ ôla risata terribile Φ una manifestazione divinaö.
[31061]
La storia non si ferma e dopo la caduta delle antiche civiltα sono nati lungo il fiume Papaloapan numerosi villaggi e cittadine che vivono di pesca e di commercio. Uno dei borghi pi∙ belli Φ Tlacotalpan, affacciato sulle acque che trascinano piccoli isolotti dÆerba che si sono staccati dalla riva.
Dalla bianca piazza principale sÆirradiano numerose vie porticate con le case e le finestre tinteggiate nei colori pi∙ vivi, con accostamenti cromatici assai fantasiosi e talvolta bizzarri: rosa, turchese, lilla e arancione.
[31071]
Xalapa Φ la capitale dello Stato di Veracruz e sorge in una zona collinare lontana dalla costa del Golfo. Nel 1986 venne inaugurato qui uno dei pi∙ bei musei del Messico, sia per quanto riguarda la ricchezza dei suoi reperti che per lÆarmonioso allestimento delle sale espositive in ambienti interni ed esterni.
Nel ôMuseo Antropologico di Xalapaö si possono scoprire i capolavori dellÆarte olmeca, totonaca e huasteca: teste colossali, statue di divinitα e principi, idoli e animali di terracotta, offerte votive, ôhachasö, ôpalmasö e ôgioghiö legati al Gioco della Pelota, stele con rilievi, reperti di giada, ossidiana e cristallo di rocca e oggetti di cultura materiale. Vi sono le testimonianze della cultura di Papaloapan-Rφo Blanco con le ôcaritas sonrientesö, le sacerdotesse cinte da serpenti ed i bracieri cerimoniali, e vi sono le straordinarie opere della cultura conosciuta sotto il nome di ôRemojadasö, uno stile che si Φ sviluppato in un lungo arco di tempo tra il I millennio a.C. e il I millennio d.C. e che ha prodotto del raffinato vasellame antropomorfo e una statuaria in terracotta, altamente espressiva.
[31081]
I Totonachi sono una misteriosa popolazione apparsa intorno alla fine dellÆEpoca Classica nella regione intorno a Veracruz, allora abitata dagli antichi Huastechi con i quali vissero in armonia. Il principale centro della civilitα totonaca era El Tajφn - dedicato al Dio Tajφn, ôSignore delle Tempeste e dei Fulminiö - che visse il suo periodo di maggior splendore tra lÆ800 e il 1150 d.C..
La cittα si sviluppava su un territorio di circa 10 chilometri quadrati, di cui Φ stato esplorato soltanto il vasto centro cerimoniale, costituito da un impianto urbano dinamico che suddivide lÆarea in cinque quartieri ben distinti, dove gli edifici sono raggruppati intorno a spiazzi di piccole dimensioni.
Le forme architettoniche sono meno severe che nelle altre culture mesoamericane e questo ha fatto supporre che la societα dei Totonachi fosse meno rigida e pi∙ gaia, anche se non mancano segni di violenza nella loro storia. LÆaspetto religioso doveva essere predominante, poichΘ nella cittα si sono trovati ben 14 campi per il rituale Gioco della Pelota, in parte rivestiti da lastre con rilievi che mostrano scene di consacrazione e di sacrifici dei giocatori.
Il monumento pi∙ famoso di El Tajφn Φ certamente la ôPiramide delle Nicchieö - anche se non Φ il solo ad essere colmo di nicchie - che rivolge la facciata verso il tramonto. LÆedificio Φ alto 25 metri, costruito su sette livelli e scandito da 365 nicchie che corrispondono ai giorni di un anno solare. Il Tempio - dedicato al Dio della Pioggia o al Dio del Vento - e la Piramide erano coperti di stucco colorato sul quale le nicchie risaltavano luminose, dipinte di rosso con bande di colore azzurro.
Nel verde della foresta, tra tumuli ancora coperti dalla vegetazione, si trovano numerosi palazzi come la ôCasa delle Colonneö con i rocchi dei pilastri finemente scolpiti e la ôGrande Grecaö, unico edificio di questo tipo scoperto nella Mesoamerica e che consiste in una piattaforma che disegna unÆimmensa ôgrecaö sulla quale si sono trovate le fondamenta di due templi e di due campi del Giochi della Pelota.
[31091]
Quiahuiztlan Φ una parola di lingua nßhuatl che significa ôluogo piovosoö e designa unÆimportante cittα totonaca costruita su uno sperone a picco sulla costa di Punta Mancha, dove Hernßn CortΘs approd≥ nel 1519. Fu questo il luogo nel quale CortΘs tenne la prima riunione con i rappresentanti delle trenta cittα totonache per stringere un patto di alleanza per combattere insieme contro gli Aztechi.
Quiahuiztlan possiede tre aree ben distinte: il grande centro cerimoniale costruito sopra un promontorio naturale allÆombra del ôCerro de los Metatesö, un roccione a forma di canne dÆorgano, la cittα residenziale sparpagliata sui pendii e una vasta necropoli con 78 sepolcri di pietra, sagomati a somiglianza dei ôteocalliö, i ôpiccoli templiö. Tutta la cittα era circondata da massicce mura difensive, cos∞ imponenti da stupire gli Spagnoli al loro arrivo.
LÆapogeo della cittα va collocato tra il VI e il IX secolo, in epoca Classica, ma il luogo dovette poi subire varie incursioni da parte di popolazioni stabilitesi a nord, dapprima i Toltechi, intorno al X secolo, e poi gli Aztechi, a partire dal XIII secolo.
[31101]
Quando i soldati di CortΘs entrano nel 1519 a Zempoala, la cittα li accoglie a braccia aperte vedendo in loro i possibili ôliberatoriö dal giogo azteco. I Totonachi erano allora costretti a pagare durissimi tributi agli Aztechi che avevano occupato militarmente tutta la regione, catturando 6000 prigionieri per sacrificarli sui templi di Tenochtitlßn.
Zempoala, il cui nome significa in lingua nßhuatl ô20 Acqueö, venne fondata nel 1200 d.C. come capoluogo della federazione delle cittα-stato totonache. I monumenti - il Templo Major, la Grande Piramide, il Tempio del Dio del Vento, EhΘcatl, e il ôTemplo de las Chimeneasö (il ôTempio dei Caminiö che CortΘs elesse come sua residenza) - sono raggruppati attorno ad un ampio piazzale con alte e sottili palme e sono tutti rivestiti da ciottoli di fiume aguzzi e sporgenti, chiamati ôalmenasö. La cittα vera e propria, che contava circa 30.000 abitanti, si espandeva tuttÆintorno, circondata da fortificazioni, e gli edifici pi∙ importanti erano costruiti su delle piattaforme per contrastare le piene del fiume Chachalas.
[31111]
Gli Huastechi, che sÆinsediarono nelle terre settentrionali del Golfo durante il Preclassico, sono un popolo di antichissima origine che affonda le sue radici nel mondo maya: tra il 1500 e il 1200 a.C. durante le migrazioni dal meridione verso nuove terre, un gruppo maya si stabil∞ sulla costa non lontana da Veracruz fondendosi con le trib∙ autoctone.
A partire dal 200 d.C. gli Huastechi svilupparono una cultura propria, mentre dal 1200 d.C. si possono notare influenze dei vicini Toltechi. Pochi sono i siti huastechi esplorati a fondo, ma il rinvenimento di numerose opere scultoree mostra lÆaltissimo livello artistico raggiunto da quella popolazione. Si tratta per la maggior parte di stele in pietra arenaria scolpite con superbi bassorilievi, spesso su entrambi i lati, con elementi contrastanti: la vita e la morte, il bambino e lÆanziano, lÆanimale e lÆuomo. Le figure sono ornate da gioielli e abbigliate fastosamente con grandi copricapi a raggiera o a forma di tiara: Φ unÆarte molto sensuale e armoniosa che quasi nulla concede al grottesco o al terrificante.
[31121]
Secondo il mito gli Olmechi sarebbero nati dalla mistica unione tra un giaguaro e una donna, e da questa leggenda lÆarcheologo Miguel Covarrubias ha coniato per loro il nome poetico di ôpopolo del giaguaroö.
Le ricerche archeologiche hanno dimostrato che le prime tracce di insediamento risalgono al 1700 a.C. e da questa misteriosa popolazione, che abitava tra il Tabasco e il Veracruz, sono discesi gli Olmechi che coltivavano il mais e si nutrivano di cacciagione e pesce. San Lorenzo Φ il centro pi∙ antico (1200-900 a.C.), seguito da La Venta (900-400 a.C.), mentre Tres Zapotes si sviluppa tra il 400 e il 200 a.C.. Il modello olmeco dei centri cerimoniali costruiti secondo un preciso disegno cosmologico - piattaforme, piramidi, campo per il gioco della Pelota, palazzi e sepolcri - verrα adottato da tutte le culture successive. Le cittα erano dotate di canali di drenaggio e vi erano riserve per lÆacqua potabile.
LÆarte olmeca si esprimeva sia attraverso la scultura monumentale - i ritratti allegorici delle ôteste gigantiö e gli ôaltariö o ôtroniö - sia attraverso la lavorazione di materiali preziosi come la giada e lÆossidiana ed anche con la fabbricazione di terrecotte e sculture in pietra. Le opere di produzione olmeca sono state rinvenute in regioni molto lontane dal luogo originario - Chiapas, Oaxaca, Guerrero e Altopiano Centrale - e devono la loro diffusione alla fitta rete di vie commerciali dirette verso altre popolazioni. Intorno al I sec. a.C. i centri olmechi si spopolano definitivamente ed alcuni gruppi emigrano verso lÆIstmo di Tehuantepec, la Valle di Oaxaca ed il Chiapas.
[31131]
Per il clima caldo e mite tutto lÆanno, per le abbondanti piogge e per lÆeccezionale fertitilitα delle pianure alluvionali, gli antichi chiamavano la regione centrale del Veracruz ôTlalocanö, paragondandola al paradiso del Dio della Pioggia, Tlaloc, dove regnava il benessere eterno. Le genti che vi abitavano divennero abili agricoltori che inventarono le colture di trapianto e crearono un vasto sistema di irrigazione con canali: le loro cittα vengono descritte come splendide dimore immerse tra giardini e orti.
Questa civiltα viene indicata generalmente come ôTotonacaö e comprende molteplici forme di espressioni artistiche, religiose e sociali. Tra le culture pi∙ antiche troviamo quelle di Remojadas e di Papaloapan-Rφo Blanco, la prima sviluppatasi a partire del 1000 a.C. circa, la seconda tra il II e il IX sec.d.C.. Sono entrambe celebri per la raffinata ceramica di colore arancione con disegni eseguiti con asfalto nero liquido, le statue di terracotta plasmate con sorprendente realismo e le preziose offerte votive finemente modellate, come le ôcaritas sonrientesö, i piccoli volti dal riso scoppiettante.
La cultura di El Tajφn ebbe inizio intorno ai primi secoli della nostra era e conobbe il suo apogeo tra il VII e il X secolo. Il centro cerimoniale Φ considerato il pi∙ importante della cultura totonaca e mostra una serie di particolaritα architettoniche: grandi piramidi costruite secondo il sistema ôtalud-tableroö con profusione di nicchie, fregi, greche, cornici sporgenti, mosaici di pietra, serpenti stilizzati e bassorilievi integrati ai muri e sulle colonne.
Il Gioco della Pelota, legato al culto del Sole e della Fertilitα, aveva un ruolo predominante nella societα totonaca - ricordiamo i 14 campi da gioco nella sola El Tajφn - ma vi erano anche altri riti locali come la cerimonia dei ôVoladoresö, durante la quale quattro uomini legati da una fune intorno alla caviglia si lanciavano nel vuoto dallÆalto di un palo.
Mentre altri centri totonachi - come ad esempio Zempoala - riescono a resistere in qualche modo alle incursioni dei Toltechi e degli Aztechi fino al XV secolo, El Tajφn venne abbondanata nel XII secolo ed i suoi monumenti furono inghiottiti dalla giungla fino a quando non venne riscoperta nel 1785.
[31141]
Gli Huastechi provengono dalla famiglia linguistica dei Maya, i quali si erano stabiliti al tempo delle migrazioni intorno al 1200 a.C. sulle coste del Golfo. Molto pi∙ tardi gli Huastechi furono raggiunti dal gruppo Nonoalcas (ôi portatori delle conoscenze pi∙ avanzateö), che in seguito sarebbero stati tra i fondatori di Tula. La cultura propriamente detta ôhuastecaö non ha mai prodotto opere architettoniche monumentali, prediligendo invece centri di medie dimensioni con strutture circolari. Questa popolazione era maestra nella scultura come testimoniano le stele scolpite in pietra arenaria.
Nelle cronache postume gli Huastechi vengono descritti come un popolo ôgentileö - forse anche debole - dedito alla magia, allÆubriachezza e alle pratiche erotiche. QuestÆopinione venne raccolta dal frate spagnolo Bernardino de Sahag·n che trascrisse la seguente leggenda: durante un banchetto offerto dagli Dei, lÆinvitato huasteco Cuextecatl (da qui lo stesso nome ôhuastecoö) si ubriac≥ e si denud≥ scandalizzando il divino convivio. Cuextecatl si vergogn≥ e part∞ con la sua gente verso la regione del Golfo, dove si insediarono e si moltiplicarono. Nacque cos∞ un popolo dal comportamento ôsconvenienteö.
[31152]
Nel 1519 Hernßn CortΘs approda sulla costa del Golfo e - dopo aver stretto un patto di alleanza con i Totonachi a Quiahuiztlan e fondato simbolicamente Ciudad Real de la Vera Cruz - si dirige verso lÆinterno per raggiungere Zempoala.
La sua avanguardia gli aveva descritto una cittα meravigliosa, luccicante dÆargento,
in quanto era stata abbagliata dallo stucco bianco di cui erano coperti gli edifici che brillavano sotto il sole.
CortΘs entra nella cittα con 553 soldati, 32 balestrieri, 13 archibugieri, 110 marinai, duecento indiani cubani e una decina di cavalli.
[31151]
Invitato dal governatore di Zempoala, CortΘs vi stabilisce il suo quartier generale ed organizza insieme alla popolazione locale - esasperata per i vessamenti e lÆoppressione da parte degli Aztechi - la marcia di conquista verso la capitale mexica Tenochtitlßn, accompagnato da migliaia di Totonachi.
Prima di partire, scandalizzato dai costumi ôlibertiniö e dai cruenti sacrifici di sangue dei Totonachi, CortΘs si assume il ruolo di grande fustigatore e decide di abbattere gli idoli sacri di quella popolazione. Il suo cronista per eccellenza, Bernal Dφaz del Castillo, racconta la scena: ô... una cinquantina di soldati salirono fino ai templi e rovesciarono gli idoli dagli altari e li fecero rotolare gi∙ per la gradinata; erano tutte figure mostruose: orrendi dragoni, grandi come vitelli, e mostruosi animali, metα uomo e metα cane. Come li videro fatti a pezzi i cacicchi e i sacerdoti piangevano, si coprivano gli occhi e invocavano il perdono dai loro Dei, dicendo che era tutta colpa di quegli Spagnoli, ai quali non potevano neppure fare la guerra per paura dei Messicani.ö
[321]
Terra degli Zapotechi e dei Mixtechi, la Valle di Oaxaca fu abitata fin dagli albori della storia messicana: giα nellÆ8000 a.C. vi vivevano trib∙ di raccoglitori-cacciatori e a partire dal 1500 a.C. vennero costruiti i primi villaggi di capanne abitate da agricoltori sedentari. Mille anni pi∙ tardi, intorno al 500 a.C., venne fondata Monte Albßn e con essa nacque la civiltα urbana, si consolid≥ il pantheon degli Dei e si form≥ una societα teocratica. Monte Albßn divenne una splendida metropoli nel cuore delle sierre di Oaxaca che accolse influenze culturali da Teotihuacßn e dal mondo olmeco e maya. Col tempo si rafforzarono anche i centri minori come Dainz·, Zaachila o Mitla, che divenne la capitale amministrativa dei Mixtechi, giunti nella Valle nel periodo Post-classico. Gli Zapotechi ed i Mixtechi chiamavano se stessi ôPopolo delle Nubiö e parlavano diverse lingue appartenenti ad un gruppo principale denominato ôotomangueö.
[3211]
AllÆinizio del XVI secolo, insieme ai Conquistadores, arrivano le prime confraternite religiose, costituite in particolare da Domenicani, che spesso hanno difeso gli indigeni dagli abusi e dalle vessazioni delle autoritα civili. Il comportamento disumano di tanti governatori e comandanti divenne talmente intollerabile che - su richiesta dei frati - il Pontefice Paolo III Φ costretto ad emettere una Bolla nella quale decreta che gli indios sono esseri umani, che hanno il diritto di ricevere i sacramenti e che non devono subire la schiavit∙. In quel periodo nascono numerose missioni domenicane che testimoniano il grande fervore nellÆevangelizzazione degli indigeni.
[32111]
La chiesa di San Jer≤nimo nel villaggio di Tlacochahuaya Φ un mirabile esempio di fusione tra arte spagnola ed elementi indigeni. Il complesso religioso venne fondato dai Domenicani nel 1558 e fu terminato soltanto nel 1674: erano anni tumultuosi che videro la ribellione degli Indios di Oaxaca contro lo strapotere degli Spagnoli che avevano tolto loro la terra e trattavano i nativi peggio dei cani. La guida spirituale della missione fu allora affidata al frate Juan de C≤rdoba che con veemenza si oppose agli abusi dei Conquistadores, accogliendo nel convento molti indigeni.
La chiesa possiede unÆarchitettura austera che si distacca dal comune barocco popolare, mentre nelle decorazioni dellÆinterno traspare la partecipazione di manodopera india.
[32121]
Fuori le mura del villaggio di Cuilapan - che in lingua nßhuatl si chiamava Coyolapan ôfiume del coyoteö - venne costruito il convento domenicano di Santiago Apostolo, che sorge solitario nellÆarida pianura. Si tratta di unÆopera monumentale e potente, benchΘ sia rimasta incompiuta: alla chiesa manca totalmente il tetto e le colonne della navata centrale guardano il cielo.
Il complesso venne edificato tra 1548 e il 1555 in stile rinascimentale, mentre la facciata della chiesa mostra elementi barocchi. Il convento fu abbandonato giα nel 1663 quando i frati si trasferirono ad Oaxaca.
A Santiago Apostolo trov≥ sepoltura una principessa indigena - battezzata Juana Donaje - figlia di Cocijo-eza, lÆultimo re zapoteco di Zaachila che si era convertito al cristianesimo.
[32131]
I frati domenicani, inviati dalla Spagna per convertire gli indigeni di Oaxaca, impararono le lingue autoctone, tradussero il Vangelo con lÆausilio di illustrazioni facilmente comprensibili e cercarono di edificare le loro missioni nel cuore delle terre abitate dai nativi.
Memori dellÆassoluto divieto dÆentrata nei templi dei loro antichi Dei, gli indigeni spesso si rifiutavano di assistere alla messa allÆinterno delle nuove chiese, per cui i Domenicani della chiesa di Santa Marφa di Coixtlahuaca costruirono a fianco della parrocchia una grande ôcappella allÆapertoö.
Fondato nel 1546, il complesso di Santa Marφa Φ uno dei pi∙ bei esempi di architettura religiosa seicentesca del Messico e possiede una lineare facciata con medaglioni e nicchie scolpite tra due pilastri e un interno finemente decorato con un retablo barocco carico di sculture e pitture di santi di scuola spagnola.
[32011]
Monte Albßn aveva giα perso il suo predominio sulla regione - ormai frammentata in tanti piccoli feudi-vassalli degli Aztechi - quando nel 1521 le truppe spagnole guidate da Francisco de Orozco e da Diego de Ordaz entrarono vittoriose nella Valle di Oaxaca. Dopo aver ridotto in cenere ci≥ che rimaneva di Monte Albßn, i Conquistadores fondarono una guarnigione ai pendii del colle chiamandola ôAntequeraö. Per volontα di Carlo V, nel 1529, la piccola cittadella ricevette lo status di ôcittα realeö con il nome di Oaxaca - una storpiatura dellÆazteco ôHuaxyacaö che significa ôboschetto di acacieö - e Hernßn CortΘs venne nominato ôMarchese di Oaxacaö per i suoi servigi alla Corona Spagnola.
LÆimpronta della cittα Φ tuttÆora coloniale con grandi vie diritte, case basse con finestre incorniciate da grate in ferro battuto, palazzi con patii interni e ampie piazze, come lo ôZ≤caloö con la maestosa Cattedrale barocca del XVI-XVIII secolo. Gran parte della cittα venne distrutta da due violenti terremoti - nel 1845 e nel 1931 - e ricostruita secondo gli originari canoni seicenteschi.
La chiesa pi∙ notevole Φ Santo Domingo, fondata - insieme allÆannesso convento - dallÆOrdine dei Domenicani nel 1575. LÆinterno della chiesa, con navata centrale e undici cappelle tra cui quella rococ≤ della ôVergine del Rosarioö, Φ una sinfonia di rivestimenti dÆoro, con stucchi e statue di grande pregio artistico, come il grande Albero Genealogico del fondatore dellÆOrdine Santo Domingo de Guzmßn, scolpito a rilievo sopra lÆentrata.
Gli ambienti del convento, affacciati su un magnifico chiostro con nervature gotiche, ospitano il Museo dello Stato di Oaxaca che espone le ricchissime collezioni archeologiche della cultura zapoteca e mixteca, tra cui il prezioso ôTesoro della Tomba 7ö di Monte Albßn.
[32021]
In posizione elevata sopra una valle verde, tra giganteschi cactus e campi coltivati, sorge Yagul, uno dei centri zapoteco-mixtechi che videro il loro periodo di maggior splendore tra lÆ800 e il 1200 d.C., quando lÆegemonia di Monte Albßn era ormai spezzata. A quellÆepoca la vita sociale e religiosa non aveva pi∙ come punto focale il centro cerimoniale, ma si rifer∞ piuttosto ai palazzi e ai possedimenti dei singoli governatori.
Uno degli edifici pi∙ interessanti di Yagul Φ infatti il ôPalazzo delle Sei Cortiö, un complesso residenziale per i nobili e i sacerdoti che si articola intorno a dei patii quadrati con un labirinto di gallerie, porte e colonne.
Su un livello pi∙ basso, il palazzo Φ preceduto da un grande patio con la Sala del Consiglio e altri edifici che facevano parte del centro civico. Nella stessa area si trova un grande Campo per il Gioco della Pelota - privo dei bersagli ad anello, caratteristica comune in tutta la regione oaxachena - costruito e ampliato tra il VI e il X secolo.
La terrazza inferiore Φ occupata dal ôPatio della Triplice Tombaö, costituito da quattro templi e da un altare per i sacrifici. Dalla corte si scende verso tre camere funerarie nelle quali furono trovati numerosi scheletri e offerte votive. In tutto il sito sono state rinvenute circa 30 tombe ipogee, alcune decorate con glifi zapotechi e con rilievi.
[32031]
Tra il 1400 e il 1150 a.C. San JosΘ Mogote era certamente la comunitα pi∙ importante della Valle di Oaxaca. A partire dal 1200 a.C. si manifestano forti influssi olmechi, come denotano lÆadozione della cosmologia olmeca, delle costruzioni in argilla e pietra e dei rilievi con giaguari e rapaci. Probabilmente da San JosΘ Mogote part∞ un gruppo di abitanti per fondare, nel 500 a.C., il centro di Monte Albßn.
Lambityeco si colloca invece intorno al 700-900 d.C., anche se il sito era giα stato occupato in un periodo precedente. Vi furono trovate numerose immagini di Cocijo, il Dio della Pioggia degli Zapotechi, che appare sulle urne funerarie, sui bracieri e, in forma di mascherone, sulle piramidi.
LÆarea archeologica di Zaachila, che fu lÆultima cittα-stato degli Zapotechi, si trova al centro della cittadina moderna ed Φ stata scavata soltanto parzialmente. Di notevole interesse sono le due tombe trovate sotto il patio di una casa, che hanno rivelato preziosi rilievi zoomorfi che raffigurano teste di giaguaro, civette, tartarughe, pipistrelli e due statue di divinitα dellÆInframondo.
[32041]
Dainz· prende il nome dalla pianta che vi cresce pi∙ rigogliosa, il ôcactus a canne dÆorganoö. Fondata nel 600 a.C., divent≥ un importante centro cerimoniale zapoteco con architetture monumentali, templi ed un ampio Campo per il Gioco della Pelota, costruito intorno al X-XI sec.d.C..
Sugli edifici si notano numerosi rilievi con immagini di sacerdoti e giocatori - nella sola ôPelotaö vi sono 35 stele incise - abbigliati con i costumi protettivi caratteristici per la Valle di Oaxaca: un casco integrale a forma di giaguaro, unÆampia fascia sul petto e sulle braccia, dei paracolpi sulle gambe e dei lunghi guanti. I giocatori afferrano la palla di caucci∙ con le mani, un gesto insolito nel classico gioco della Pelota. Purtroppo le intemperie hanno corroso le pietre, per cui le figure - tutte rappresentate nella posizione dinamica del gioco - sono poco distinguibili.
[32051]
Una leggenda vuole che Mitla sia stata creata da un gigantesco serpente dÆacqua con due corna, trasmutazione di una divinitα di nome Condoy, e per questo le decorazioni delle rovine di Mitla ricordano le scaglie della pelle di un serpente.
ôMictlanö significa in lingua nßhuatl ôluogo di morteö anche se allÆapparenza i monumenti di Mitla sembrano i pi∙ vitali e splendenti di tutta la regione. AllÆinizio della nostra era, la cittα si svilupp≥ insieme alla vicina Monte Albßn come importante centro zapoteco, ma intorno al X secolo venne eletta capitale dai Mixtechi, anche se lÆattribuzione delle opere architettoniche a questi ultimi Φ tuttÆora controversa, poichΘ ai tempi della conquista spagnola la cittα era abitata prevalentemente da Zapotechi.
LÆedificio pi∙ bello Φ senza dubbio il ôGrupo de las Columnasö, chiamato cos∞ per le sei massicce colonne che ornano la sala principale del palazzo, residenza del Gran Sacerdote Uija-tßo, ôcolui che vede tuttoö. Le facciate esterne e i muri del patio interno sono mirabilmente decorati da fregi geometrici composti da pi∙ di 100.000 tessere di pietra. Vi sono quattordici diversi tipi di ôgrecheö che rappresentano concetti religiosi come il serpente piumato, lÆacqua, il cielo e la terra. Degli affreschi che ornavano le sale si sono salvate poche tracce, ma fortunatamente i cicli narrativi vennero ricopiati scrupolosamente alla fine dellÆOttocento dagli studiosi Eduard Seler e Antonio Pe±afiel.
Gran parte degli edifici vennero demoliti dopo lÆarrivo degli Spagnoli e le loro pietre furono usate per costruire la chiesa di San Paolo, che svetta con le sue cupole rosse sopra il cosiddetto ôGrupo de las Iglesiasö, una serie di corti interne con resti di pitture e ricche decorazioni geometriche.
[32061]
Non lontano da Mitla un ripido sentiero porta in un luogo fatato chiamato Hierve el Agua, un tempo considerato sacro dagli Zapotechi.
Su una vasta piattaforma in mezzo allÆarida sierra sgorgano numerose sorgenti di acque minerali effervescenti che formano pozze e piscine che sembrano ribollire sotto il sole. TuttÆintorno si sono formate candide cascate pietrificate, grazie alle incrostazioni di minerali e ai sedimenti di travertino depositatisi e fossilizzatisi nei secoli.
Gli antichi sfruttavano le sorgenti di Hierve el Agua per lÆirrigazione dei campi coltivati mediante un complicato sistema idraulico costituito da terrazzamenti e canali: vi sono ben 6.375 metri di canalizzazioni e 600 terrazze, di cui se ne possono contare ancora oggi 416.
[32071]
Nella Valle di Oaxaca sono state trovate tracce di insediamenti che datano fin dal IX millennio a.C. e, a partire da quellÆepoca, si sono sviluppate diverse culture che hanno raggiunto il loro pieno sviluppo con lÆavvento degli Zapotechi e dei Mixtechi.
Tra il 1500 e il 500 a.C. si sviluppa il ôPeriodo dei Villaggiö: nasce dapprima la Cultura di San JosΘ Mogote (1500 a.C.), seguita dalla Cultura di Guadalupe (800 a.C.) e dalla Cultura Rosario (600 a.C.). Tra lÆXI e il IX sec.a.C. si notano influssi olmechi e maya.
Nel 500 a.C. viene fondata Monte Albßn ed ha inizio il ôPeriodo Urbanoö che va dal V sec.a.C. al IX sec.d.C. e che vede fiorire numerosi centri come Yagul, Dainz·, Loma Larga e tanti altri. Monte Albßn subisce lÆinfluenza di Teotihuacßn e diventa il pi∙ importante centro religioso-politico degli Zapotechi.
DallÆ800 a.C. fino allÆarrivo degli Spagnoli allÆinizio del XVI secolo si sviluppa il ôPeriodo delle Cittα-Statoö che vede la creazione di tanti singoli feudi, come Zaachila, o la rinascita di centri come Yagul. Nel VII sec.d.C. arrivano dalle terre settentrionali i Mixtechi che fondano la loro prima dinastia e, intorno al X secolo, eleggono Mitla come loro principale centro amministrativo.
La convivenza tra Zapotechi e Mixtechi - dapprima conflittuale, ma poi pacifica - viene interrotta al termine del XV secolo dallÆarrivo degli Aztechi che caricano le popolazioni locali di pesanti tributi. La grande svolta storica avviene con lÆarrivo degli Spagnoli nel 1521 che, dopo violenti combattimenti con le rivoltose popolazioni della Valle, annettono la regione al regno della ôNuova Spagnaö. Le missioni domenicane si insediano qui giα dal XVI secolo ed operano soprattutto per difendere gli indigeni dai soprusi dei Conquistadores. Oaxaca diventa Stato Federale indipendente nel 1824.
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LÆuniverso dei Maya abbraccia un vastissimo territorio dellÆAmerica Centrale che comprende lo Yucatßn, il Chiapas, il Campeche, il Quintana Roo, parte del Tabasco, il Guatemala, il Belize e le regioni occidentali dellÆHonduras e del Salvador. In Epoca Classica, tra il III ed il IX secolo, questa civiltα ha fondato numerose cittα-stato con splendide opere architettoniche e artistiche, Φ stata capace di sviluppare un complesso sistema di scrittura, ha inventato - primo di tutti i popoli - il valore matematico dello zero e ha saputo calcolare un calendario, con un ciclo solare di 365 giorni, di sorprendente precisione. La societα Maya era regolata da una rigida gerarchia che vedeva i sovrani al primo posto della scala sociale, seguiti dalla casta privilegiata dei sacerdoti e poi dai guerrieri, dai mercanti e, in ultimo, dagli artigiani e dai contadini.
[3311]
Il Chiapas Φ una terra verde e selvaggia che si estende tra lÆaltopiano orientale della Sierra Madre del Sud, dove le vette dei vulcani raggiungono i 4000 metri di altezza, e il fiume Usumacinta che scorre attraverso la fitta foresta tropicale sul confine con il Guatemala. Tra Palenque e lÆUsumacinta nascono dei grandiosi centri maya che vivono il loro apogeo tra il IV e lÆVIII sec.d.C.. Nonostante lÆabbandono di quelle terre da parte dei Maya classici nel IX secolo, la regione continuerα ad essere abitata dai loro discendenti ed in particolare dagli indios Lacandoni, che opporranno unÆestenuante resistenza agli Spagnoli, giunti nel Chiapas nel 1524.
[33111]
Il pi∙ importante insediamento spagnolo in Chiapas fu San Crist≤bal de Las Casas, fondata nel 1528 dal conquistatore Diego de Mazariego che vi costru∞ la sua residenza nello stile dei grandi palazzi nobiliari con profusione di ornamenti platereschi.
La cittα venne dedicata a San Crist≤bal e prese in seguito il nome di BartolomΘ de Las Casas, vescovo del Chiapas e strenuo difensore dei diritti degli Indios. A lungo amministrata dagli Spagnoli del Guatemala, la cittα divenne capitale dello Stato del Chiapas dopo la proclamazione dÆIndipendenza del Messico, dal 1822 fino al 1892.
Sullo Z≤calo, la grande piazza nel cuore della cittα dove si erge una immensa croce di legno in memoria della conversione degli indigeni, si affaccia la cattedrale ôNuestra Se±ora de la Asunci≤nö, fondata nel 1528 ma completamente rinnovata nel 1693 con ornamenti barocchi allÆesterno e allÆinterno. La pi∙ importante chiesa della cittα Φ Santo Domingo, costruita tra il 1547 e il 1560 in posizione elevata, intorno alla quale si svolge ogni giorno il colorito mercato degli indios Tzotzil e Tzeltal che scendono dalle vicine montagne per offrire i loro prodotti agricoli e di artigianato.
[33121]
Nelle umide foreste tropicali, intorno alle lagune, vicino a cascate spettacolari e lungo le sponde del vasto fiume Usumacinta, i Maya costruirono le loro cittα-stato, di cui la pi∙ potente fu certamente Palenque. Alcuni siti, come Chinkultic o Piedras Negras (questÆultimo si trova in Guatemala sulla linea di confine con il Messico), sono tuttÆora sperduti nella foresta e accessibili soltanto con piccoli aerei da turismo o in battello. Ogni piccolo regno possedeva il suo centro cerimoniale con templi costruiti su piattaforme, stele commemorative, palazzi e una corte per il sacro gioco della palla, dotata di un ôtemascalö, il bagno di vapore per la purificazione.
[33131]
Nel 1946 vennero scoperte sul Rφo Lacanhß delle rovine completamente sommerse dalla vegetazione, tra cui spiccava un tempio decorato con pitture maya meravigliose che dettero il nome al sito - ôBonampakö - che in lingua maya vuol dire ômuri dipintiö.
LÆapogeo di Bonampak si colloca nel Periodo Classico, tra il VII e il IX secolo, epoca alla quale risalgono anche gli affreschi, dipinti con colori intensi tra cui prevalgono il rosso cupo, il verde e il blu-turchese. Nel ciclo narrativo del ôTemplo de las Pinturasö Φ raffigurato lÆôHalach-Uinicö - il sovrano della cittα, identificato con Chaan Muan - circondato dalla sua famiglia e dai dignitari di corte in vesti sontuose. Vi sono rappresentate scene di battaglia con i guerrieri che vanno a caccia di prigionieri da sacrificare, scene di cerimoniali, di danzatori e musicanti, di autosacrifici (lÆatto consisteva nel trafiggersi la lingua o i genitali con una cordicella ricoperta di spine per raccogliere goccie di sangue da offrire agli Dei), di divinitα dallÆaspetto grottesco e la vivida rappresentazione del sacrificio umano.
Gli affreschi si possono ammirare in situ, oppure, per coglierne i dettagli, studiare le numerose riproduzioni come quella nel Museo Antropologico di Cittα del Messico.
[33141]
Sulle rive del fiume Usumacinta sorgeva Yaxchilßn, ôil luogo delle pietre verdiö, un importante centro religioso e politico dei Maya che, insieme a Palenque e a Tikal, dominava nel Periodo Classico le regioni meridionali. Il sito venne scoperto dallo studioso inglese Alfred Maudslay che fece smantellare sette architravi finemente scolpite per trasferirle al British Museum di Londra.
Estesa tra due ôacropoliö, Yaxchilßn possedeva pi∙ palazzi che templi e vi furono trovate numerose stele, altari e lastre di pietra con rilievi che illustrano il passaggio del potere tra i sovrani, lÆatto di autosacrificio e scene di battaglia. Ogni rappresentazione Φ circondata da un gran numero di glifi, grazie ai quali si sono potuti ricostruire la cronologia dinastica e i nomi dei re e delle loro consorti. Erano nomi bellissimi che evocavano il potere e la sacralitα del loro ruolo: ôScudo-Giaguaroö, re nel VII secolo, insieme a sua moglie ôPugno di Pesceö, o ôUccello-Giaguaroö, re nellÆVIII secolo, accanto ad un prigioniero di stirpe reale, ôCapo di Gioielloö.
[33151]
Nella terra delle popolazioni Lacandoni, in una vallata incastonata tra verdi colline, i Maya del Periodo Classico costruirono Toninß - che in lingua tzetzal significa ôcasa di pietraö - un immenso complesso palaziale-religioso che divenne lÆavamposto militare della regione. Gli archeologi trovarono sul luogo un numero impressionante di lastre e stele sulle quali sono raffigurati prigionieri destinati al sacrificio. La vittima pi∙ famosa del rito di sangue fu ôKan Hulö, ultimo governatore di Palenque, che venne immortalato su un disco-bersaglio del Campo della Pelota.
I sovrani pi∙ importanti furono ôTzost Chojö (ôTigre-Pipistrelloö) e il ôSignore Testa di Coniglioö che fecero scolpire sulle stele le loro imprese militari e la geneologia delle loro dinastie. Toninß sopravvisse al crollo dei regni maya nel X secolo e continu≥ a prosperare accanto ai grandi centri maya-toltechi come ChichΘn Itzß e Mayapßn.
Gli edifici ed i templi si innalzano su sette terrazze sovrapposte e sono costruiti interamente in mattoni di pietra, coperti di stucco con rilievi che raffigurano le divinitα dellÆInframondo, il ôMostro della terraö, i simboli di Kukulkßn - il ôserpente piumatoö - e del Dio dellÆAcqua, Chaac. Ogni piattaforma possiede diversi templi, intorno e sotto ai quali si trovano tombe, troni, pozzi per il sacrificio, labirinti e una galleria sotterranea che portava fuori dalla cittadella.
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AllÆarrivo degli Spagnoli, nel 1524, il Chiapas Φ abitato da vari gruppi linguistici: maya-yucateni, chontales, zoque, tzotzil, tzeltal e lacandoni. La conquista spagnola non fu mai totale e molte furono le insurrezioni popolari represse nel sangue. I Lacandoni si sono rifugiati nelle terre accidentate delle sierre e hanno conservato fino ad oggi molte delle loro tradizioni religiose e sociali: gli archeologi hanno scoperto che a Yaxchilßn i Lacandoni hanno continuato a celebrare gli antichi riti, venerando la testa di un re, appartenuta ad una statua maya del palazzo reale.
Nonostante il Chiapas possieda grandi ricchezze naturali - caffΦ, cacao, miniere dÆoro, dÆargento e di rame e soprattutto il petrolio - Φ una terra povera, con una popolazione che vive di stenti, rintanata nei villaggi ed esclusa dal progresso materiale. Moti di ribellione degli Tzotzil, degli Tzeltal e dei Lacandoni si sono susseguiti nei secoli e hanno avuto risonanza mondiale nel 1994 quando lÆesercito zapatista (EZNL) del sub-commandante Marcos occup≥ San Crist≤bal de Las Casas, una rivolta soppressa violentemente dallÆesercito messicano. A tuttÆoggi la situazione politica del Chiapas, giα flagellato da catastrofi naturali come uragani e inondazioni, non Φ tranquilla anche se Φ stato avviato un dialogo con il governo federale.
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Terra di contrasti tra mare, foreste vergini e zone aride, il Campeche viene raggiunto dai primi gruppi Maya nel periodo Preclassico Medio, tra il VI e il I sec.a.C.. AllÆinizio della nostra era si assiste ad un forte incremento demografico e quindi alla nascita e allo sviluppo di numerose cittα, specie nei territori del Rφo Bec e del Chenes, dove sono stati scoperti circa cento siti archeologici. Nel 1517 gli Spagnoli tentano di sbarcare a Champot≤n, sulla costa del Campeche, ma vengono respinti dalla popolazione ostile e subiscono la prima sconfitta. Soltanto nel 1540 il conquistatore Francisco de Montejo riesce ad occupare una parte della regione. Nel corso dei secoli seguenti, le numerose insenature della costa del Campeche diventano rifugio privilegiato dei filibustieri - tra cui il corsaro Francis Drake e la donna-pirata Mary Read - che si arricchiscono con il contrabbando del ôpalo de tinteö, un albero che cresce nel Campeche dal quale si estrae una preziosa linfa necessaria per produrre il colore rosso.
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Il significato del nome ôEdznßö Φ controverso: potrebbe voler dire ôcasa delle smorfieö o ôcasa degli ecoö oppure semplicemente ôcasa del popolo Itzßö, dal nome dei governanti della cittα nel periodo Postclassico. Il luogo venne scoperto nel 1906 dai contadini della zona e dal 1927 si sono susseguite numerose campagne di scavo per liberare la grande cittα dalla vorace vegetazione. Fino ad oggi sono stati restaurati una ventina di edifici sparsi su 8 ettari di terreno.
Il centro cerimoniale maya Φ di una spazialitα sconfinata: lÆimmenso piazzale Φ delimitato ad ovest da una gradinata lunga 100 metri, priva dellÆedificio sovrastante, e ad est dalla ôGrande Acropoliö dominata dalla ôPiramide dei Cinque Pianiö, che risale al VI-VIII secolo. Due templi, che ricordano lo stile del PetΘn (Guatemala), affiancano lÆingresso della ôGrande Acropoliö, mentre sulla piattaforma interna si trova una piccola piramide con tempio, chiamata ôCasa della Lunaö. I livelli inferiori della ôPiramide dei Cinque Pianiö rispecchiano lo stile del Rφo Bec e sembra servissero da residenza ai sacerdoti, mentre la parte superiore, disadorna rispetto ad altre costruzioni dellÆarea culturale detta ôChenes-Rφo Becö, era consacrata esclusivamente ai cerimoniali.
LÆinfluenza dei Maya del PetΘn risulta anche dai giganteschi mascheroni, associati al culto del Sole, di un tempio ubicato al lato della piazza centrale. Dai glifi presenti sulle scalinate e sulle numerose stele si Φ potuto risalire a dieci sovrani che governarono ad Edznß tra il IV e il IX secolo. Negli anni tra il 1200 e il 1400 molte strutture vennero smantellate per costruirne nuove di minori dimensioni, ma giα intorno 1450 il luogo fu definitivamente abbandonato.
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In lingua maya ôBecßnö significa ôsentiero del serpenteö o anche ôfossato formato dallÆacquaö e deve il suo nome al profondo vallo circolare con sette ingressi che cinge tutta la cittα. Immersa nella folta foresta - diradata dagli archeologi per liberare i monumenti rispettando profondamente la natura - Becßn possiede delle costruzioni imponenti nello stile del Rφo Bec, che furono iniziate intorno al I sec.d.C., sebbene lÆapogeo della cittα si collochi tra il VII e lÆVIII secolo.
Si conoscono poco la storia e la funzione sociale della cittα anche perchΘ non vi sono state trovate iscrizioni e gli archeologi hanno quindi indicato gli edifici con semplici numeri. Tutto lascia supporre che fosse un importante centro regionale, poichΘ le strutture piramidali hanno un aspetto possente, dotate comÆerano di ôfinte torriö tipiche dellÆarchitettura ôRφo Becö, con grandi pilastri e ripide scalinate monumentali. Gli edifici sono raggruppati intorno a tre grandi piazze: la prima, con al centro un altare circolare per le offerte agli Dei, Φ dominata da quattro strutture piramidali con torri per le osservazioni astronomiche e vari edifici annessi che recano ornamenti geometrici in pietra; la seconda piazza Φ occupata dal Campo per il Gioco della Pelota, mentre sul terzo piazzale si annalza la cosiddetta ôStruttura VIIIö, una piramide massiccia, con otto ambienti colonnati sulla cima e dieci grandi stanze nascoste nellÆinterno dellÆedificio dove, forse, venivano consumati dei riti individuali come lÆautosacrificio.
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Il monumento pi∙ spettacolare di Chicannß Φ un edificio la cui facciata consiste in una gigantesca maschera stilizzata con la bocca spalancata: Chicannß in lingua maya significa proprio ôcasa delle fauci del serpenteö.
Scoperta soltanto nel 1969, la cittα doveva essere un centro elitario, dipendente da Becßn e abitato da persone facoltose vista la ricchezza decorativa dei suoi edifici e lo splendore degli oggetti di giada, alabastro e ossidiana rinvenuti sotto le rovine. Chicannß fior∞ tra il VI e lÆVIII secolo, ma giα nel 1100 venne abbandonata dai suoi abitanti.
NellÆarchitettura predomina lo stile ôRφo Becö, mescolato ad elementi decorativi ôChenesö, come nella cosiddetta ôStruttura XXö, un edificio a due piani con quindici stanze, ornato nella parte superiore e sugli angoli da maschere zoomorfe sovrapposte.
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Il centro maya di Balamku Φ una scoperta recentissima - del 1990 - ed Φ tuttora indagato dagli archeologi messicani. Tra la fitta vegetazione della foresta si intravedono resti di edifici, gradinate e monticoli di forma piramidale.
La costruzione pi∙ imponente Φ la cosiddetta ôCasa dei Quattro Reö, una grande struttura del Periodo Classico, sovrapposta ad un edifico pi∙ antico che ha conservato un bellissimo fregio dove compaiono giaguari, mascheroni del ôMostro della Terraö, coccodrilli e figure ibride. I preziosi stucchi che simboleggiano il ciclo dinastico connesso al ciclo solare sono in opera di restauro.
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Xpuhil Φ un nome curioso che signfica ôluogo delle code di gattoö che venne dato ad un importante centro maya costruito tra lÆVIII e il X secolo, anche se vi sono tracce di un insediamento pi∙ antico.
La parte centrale del sito Φ occupata dal cosiddetto ôPalazzoö, un vasto edificio scandito da tre torri ad imitazione dei complessi templari di Tikal nel Guatemala. Ma nel caso di Xpuhil lÆaspetto piramidale delle torri Φ un puro effetto architettonico e non aveva alcuno scopo funzionale: i gradini sono troppo stretti e ripidi per essere scalati. Sulla facciata delle torri erano applicate delle grandi maschere che forse rappresentavano dei felini, elemento comune nelle costruzioni delle culture Rφo Bec-Chenes.
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LÆedifico pi∙ importante di Hochob - eccellente esempio in stile ôChenesö con elementi ôPuucö - Φ il Tempio II, interamente duplicato nel parco del Museo Antropologico di Cittα del Messico.
Il Tempio risale al IX-X secolo e possiede una splendida facciata decorata da complicati intrecci a mosaico di pietra con i simboli del serpente celeste e, al centro, una gigantesca maschera del Dio della Pioggia, Chaac, che forma la porta. Le sculture di divinitα ai lati dellÆingresso vengono associate al culto maya per gli esseri sovrannaturali che governano il Cielo. Sulla cresta dellÆedificio si ergono una serie di statue che sembrano uomini congelati nella rigida posizione ôsullÆattentiö.
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Chenes (ôsorgenteö) e Rφo Bec sono due subregioni del Campeche - la prima al confine con lo Yucatßn, la seconda con il Quintana Roo - caratterizzate da stili architettonici che non trovano riscontro in nessunÆaltra parte del Messico. Le popolazioni maya del Rφo Bec furono fortemente influenzate, intorno al VII secolo, dai Maya del PetΘn (lÆattuale Guatemala) che avevano eretto le altissime piramidi a torre di Tikal. A cittα come Xpuhil o Chicannß le vorticose piramidi diventano esclusivamente elementi decorativi: gli edifici sono scanditi da torri con gradini cos∞ ripidi e stretti che risultano impossibili da salire, e anche il piccolo tempio sulla sommitα, decorato da rilievi, Φ ridotto a puro simbolo.
Lo stile ôChenesö Φ invece caratterizzato dalla profusione di elementi decorativi - come ben si vede nel Tempio di Hochob - che occupano ogni spazio disponibile delle facciate degli edifici: intorno allÆingresso principale, costituito dal volto stilizzato di una divinitα dalla bocca spalancata, vi sono innumerevoli rilievi zoomorfi e antropomorfi, simboli divini e trame geometriche.
Col passare del tempo il ôbaroccoö stile Chenes verrα reso pi∙ sobrio e si evolverα nello stile ôPuucö che limita la decorazione alla fascia alta degli edifici come nel Palazzo del Governatore di Uxmal.
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Nel Quintana Roo il mare, le lagune e le foreste brillano di un incredibile color smeraldo. Il clima perennemente caldo, le lunghe spiagge dalla sabbia finissima e le isole nel Mar dei Caraibi a pochi chilometri dalla costa hanno fatto della regione un paradiso turistico che per≥ rischia di compromettere lÆequilibrio naturale della sua flora e fauna. Fortunatamente vaste aree sono state trasformate in riserve naturali dove oggi vivono indisturbate tartarughe, scimmie, pappagalli, iguana e ogni specie di felini. Densamente popolato nel Periodo Classico, il Quintana Roo venne raggiunto dagli Spagnoli nel 1518, ma i Maya opposero una fiera resistenza fino al 1545. Quelle terre rimasero praticamente abbandonate fino allÆinizio del XIX secolo quando, dopo dure battaglie, gli ultimi discendenti dei Maya riuscirono a liberarsi dagli oppressori. In seguito la regione prese il nome del poeta che capeggi≥ il movimento indipendentista, AndrΘs Quintana Roo.
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Ancora lontani dalla costa i navigatori potevano giα avvistare ôEl Castilloö di Tulum, costruito sulle scogliere del Mar dei Caraibi come monumento preminente di una cittα maya fortificata nel Periodo Postclassico, cioΦ dopo il 1200 d.C..
In veritα non si tratta di un ôcastelloö, ma di una piramide maya che reca sulla sommitα un tempio ed un altare di pietra per i sacrifici umani. Sopra lÆingresso appare lÆimmagine del ôDio discendenteö al quale era dedicato anche un altro tempio del centro cerimoniale. Il ôDio discendenteö, Ah Muencab, Φ una divinitα che viene nominata spesso nel ôPopol Vuhö, il libro sacro dei Maya QuichΘ del Guatemala, ed Φ rappresentata per metα uomo e per metα ape, con ali sulle braccia e sulle spalle e una coda di uccello. Il Dio, che scendeva dal cielo allÆora del tramonto, appariva in forme multiple ed era presente ai quattro angoli del mondo come il Dio Chaac o le divinitα Bacab.
Allineato ad un grande palazzo si trova il ôTempio degli Affreschiö, un edificio pi∙ volte ricostruito e terminato in epoca tarda, intorno al 1450. Le pitture raffigurano il vasto pantheon degli Dei maya, tra cui spiccano le figure del Dio supremo Itzamnß e della sua sposa Ixchel, Dea della Luna e della Fertilitα, venerata in molti santuari del Quintana Roo.
Grazie al ritrovamento di numerose stele con glifi si Φ potuto stabilire che Tulum (ôfortezzaö) era abitata dai Maya almeno dal V sec.d.C. ed era conosciuta con il nome di Zamß che significa ôalbaö.
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Una delle pi∙ estese cittα maya fu Cobß che copriva oltre 50 chilometri quadrati, possedeva una rete stradale con 45 ôsacbeoobö - in lingua maya ôstrade biancheö, in parte lastricate, coperte di malta, larghe fino a 10 metri e lunghe fino a 100 chilometri - ed era abitata, nel momento del suo massimo splendore tra il VII e il X secolo, da pi∙ di 40.000 persone.
I primi scavi vennero eseguiti dallÆarcheologo austriaco Teobert Maler a partire dal 1891, ma fino ad oggi soltanto una parte delle 6.500 strutture esistenti Φ stata portata alla luce. Tra alberi secolari e laghi - Cobß significa ôacque mosse dal ventoö - si erge il cosiddetto ôGruppo Cobßö con unÆenorme piramide a nove livelli con gli angoli smussati chiamata ôTemplo de las Iglesiasö, vicino a cui si trova un vasto Campo per il Gioco della Pelota dotato di massicci anelli di pietra.
Nelle radure della fitta foresta si trova il ôGrupo de las Pinturasö, un tempio con resti di affreschi, e il ôGrupo Macancoxö che prende il nome dal vicino lago e consiste in un raggruppamento di stele del VII secolo che rappresentano i sovrani di Cobß accanto alle loro mogli, tutte scelte tra le dinastie maya di Tikal.
Un edificio maestoso Φ il cosiddetto ôCastilloö del complesso ôNohoch Mulö (ôgrande collinaö): la piramide Φ alta 42 metri e bisogna arrampicarsi su 120 scalini per giungere alla cima dove si trova un tempio che reca sullÆarchitrave due rilievi del ôDio Discendenteö.
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Kohunlich, ôcollina delle palmeö, deve il suo nome ad una specie di palma dal fogliame luminoso che si dispiega come ali di uccello e che cresce soltanto in questa regione. Si tratta di una delle pi∙ antiche cittα maya, che ebbe il suo apogeo tra il IV e lÆVIII secolo e che possiede degli splendidi monumenti che testimoniano la grande attenzione dei loro costruttori per i calcoli dei cicli astronomici.
Gli edifici della ôPiazza delle Steleö, databili allÆVIII secolo, sono orientati verso i quattro punti cardinali e contengono precisi elementi architettonici per lÆosservazione dei solstizi e degli equinozi. In posizione elevata sorge la ôPiramide de los Mascaronesö, eretta nel V secolo e decorata sui lati della scalinata da grandi maschere rivolte verso oriente, associabili alla divinitα Kinich-Ahau e al culto del Sole. I loro volti sono unÆallegoria del cosmo stesso e dellÆanno sacro di 260 giorni e mostrano i simboli dei serpenti celesti, gli artigli e gli occhi del giaguaro - connessi entrambi allÆInframondo - e le acconciature frontali che rappresentano il sole diurno.
Kohunlich possiede 200 monticoli archeologici, in parte ancora da scavare: uno degli ultimi restauri riguarda il ôPalazzo dei 27 Scaliniö, una residenza delle dinastie regnanti tra il VI e il XII secolo e dai ritrovamenti si pensa che vi abbiano vissuto almeno trecento individui.
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Resta ancora molto da scoprire a DzibanchΘ, nome che significa ôscrittura su legnoö e che venne dato al luogo dopo il ritrovamento di una trave lignea scolpita con glifi. Importante centro religoso maya a partire dal Periodo Classico, DzibanchΘ possiede numerose strutture piramidali con creste traforate o templi, allÆinterno delle quali erano seppelliti i governanti, come nel ôTempio del B·hoö dove Φ nascosta una cripta sotterranea - ancora da scavare - simile a quella della Piramide delle Iscrizioni a Palenque.
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Gli insediamenti sulla costa mostrano forti influenze da parte dei Maya guatemaltechi: uno di questi Φ Muyil, una cittα minore, ma importante centro di scambio tra il mare ed i regni interni.
Gli edifici di Muyil appartengono tutti allÆepoca Classica Tarda, come per esempio ôEl Castilloö, una piramide con un tempio che include una torre rotonda, elemento raro nelle architetture della regione costiera. Sperduti nella foresta si trovano resti di templi e di altari e diversi edifici con colonne, tutti in fase di esplorazione e restauro.
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I primi Spagnoli a giungere sulle coste del Messico, e precisamente nel Quintana Roo, furono dei naufraghi, portati dalla corrente tra lÆIsola di Cozumel e Tulum. Era lÆanno 1512 e sulla costa vivevano varie trib∙ maya ormai mescolate a gruppi di popolazioni immigrate da altre regioni. Dei venti marinai naufragati solo due riuscirono a sopravvivere, Jer≤nimo de Aguilar e Gonzalo Guerrero, mentre gli altri vennero catturati e sacrificati sugli altari. Entrambi furono resi schiavi dagli Itzß, ma il loro destino sarα diverso: Aguilar rimarrα schiavo del governatore di Tulum, mentre Guerrero riuscirα a scappare dalla prigonia e a rifugiarsi a Chetumal presso una trib∙ nemica. Avendo convinto il governatore locale delle sue capacitα strategiche, Guerrero farα carriera come consulente militare, sposerα una nobile indigena e adotterα i costumi maya, facendosi tatuare, forare i lobi delle orecchie ed il naso e vivrα tra gli Indios come uomo rispettabile.
Sette anni dopo Hernßn CortΘs approda sullÆisola di Cozumel e viene a conoscenza che due Spagnoli vivono in terra maya: Aguilar sarα rintracciato e - dopo aver giurato di non aver mai abbandonato la fede cristiana - diventerα lÆinterprete di CortΘs. Diversamente, Guerrero si terrα alla larga dagli Spagnoli, sapendo che come ôindioö non sarα mai perdonato, e continuerα a lottare a fianco dei Maya fino alla morte che lo sorprenderα durante una battaglia tra le trib∙ dellÆHonduras e gli Spagnoli.
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La configurazione dello Yucatßn come singolo stato appartenente alla Federazione messicana Φ unÆinvenzione della storia moderna: in passato tutte le regioni sud- orientali venivano indicate semplicemente come Penisola dello Yucatßn.
I Maya - non a torto considerati una delle pi∙ complesse e affascinanti culture precolombiane - si insediarono qui fin dal Primo Periodo Classico, separando quella regione in Terre Basse e Terre Alte e distinguendo quindi gli altipiani dalla pianura tropicale. Nello Yucatßn, tra le colline Puuc, nacquero tra il VI e il IX secolo dei grandi centri urbani e cerimoniali come Uxmal e Labnß, mentre, dopo la grande crisi politico-sociale del X secolo, vennero rinnovate alcune cittα antiche come ChichΘn Itzß o fondate nuove capitali come Mayapßn.
Gli Spagnoli credettero che lo Yucatßn fosse unÆisola e soltanto la graduale penetrazione dei Conquistadores alla metα del XVI secolo permise loro di correggere lÆerrore.
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Kabßh, il cui nome era iscritto nellÆantico libro delle cronache ôChilam Balamö, era un importante centro maya collegato a Uxmal da un grande ôsacbΘö, la tradizionale ôstrada biancaö che passava attraverso un arco monumentale segnando lÆaccesso ai luoghi di culto.
Il complesso architettonico pi∙ spettacolare Φ certamente il ôCodz-Poopö, un nome maya-yucateno che significa ôstuoia arrotolataö ed Φ probabilmente riferito al naso ricurvo del Dio della Pioggia, Chaac, che orna la facciata con 250 maschere, composte ognuna da trenta pietre intagliate. LÆedificio in stile ôPuucö appare sovraccarico di decorazioni denotando lÆinfluenza dellÆarchitettura ôChenesö. LÆesatta funzione del ôCodz-Poopö non Φ del tutto chiara, anche se recentemente sono state scoperte nel retro del palazzo alcune statue di guerrieri e diversi glifi con simboli cosmologici.
Sulla stessa piattaforma del ôCodz-Poopö si trova il ôPalazzoö (o ôTeocalliö) costruito in puro stile ôPuucö - con fascie di doppie colonne sulla facciata e pilastri nei vani delle porte - e dotato di altari e numerosi ambienti interni distribuiti su due piani. Nelle stesso stile venne eretto anche il ôTempio delle Colonneö che possiede nella parte alta grandi pannelli di colonne inseriti tra cornici sporgenti.
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Continuando il viaggio tra le colline Puuc si incontra Sayil, una cittα maya del Classico Tardo su cui si hanno pochi dati. Doveva trattarsi comunque di un luogo importante visto che possiede una serie di sontuosi edifici, decorati con grande maestria come il semisommerso ôMiradorö, un tempio collegato da un rettilineo ôsacbΘö al grande palazzo del centro cittadino.
UnÆimponente gradinata porta alle terrazze che formano i tre piani sovrapposti del ôPalazzoö, decorato con lunghe file di semicolonne, caratteristiche dello stile ôPuucö, con due pilastri sormontati da capitelli che segnano le porte del secondo piano e con una serie di maschere di Chaac, composizioni zoomorfe e rilievi del ôDio Discendenteö, posti ad intervalli regolari. Le colonne di pietra sono scolpite a somiglianza dei pali di legno che sostenevano il tetto delle capanne.
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Anche la storia di Labnß Φ praticamente sconosciuta, eppure la cittα possiede grandiosi edifici sparsi su un vasto territorio dove sono state ritrovate numerose cisterne - i ôchult·nesö - e ci≥ fa supporre che il luogo fosse densamente popolato.
Il gigantesco ôPalazzoö mostra tutti gli elementi classici dello stile ôPuucö ed Φ formato da un edificio centrale e da due corpi avanzati costruiti sopra una terrazza artificiale. La parte bassa Φ scandita da fasce di tre semicolonne, mentre la parte alta Φ decorata con maschere di Chaac, composizioni geometriche e simboli cosmologici. Su uno degli angoli arrotondati si notano le fauci di un serpente dalle quali emerge la testa di un essere umano, simboli delle divinitα dellÆAcqua e della Fertilitα.
Un ampio ôsacbΘö collega il ôPalazzoö alla piramide del ôMiradorö che domina lÆöArco di Labnßö dalla ôfalsa voltaö maya, affiancato da due ambienti laterali. Sulla fascia superiore sono scolpite due nicchie nella forma tipica delle capanne dei Maya, costruite con tronchi dÆalbero e un tetto spiovente di foglie essiccate, come ancora oggi si possono vedere nei villaggi.
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Mayapßn significa ôvessillo dei Mayaö e fu lÆultima capitale maya del Messico. NellÆXI secolo lo Yucatßn era dominato da tre gruppi emergenti, gli Itzß a ChichΘn Itzß, gli Xi· a Uxmal ed i Cocom a Mayapßn. Le rivalitα tra i tre regni si accentuarono nel XIII secolo e, secondo le cronache del ôChilam Balamö, i padroni di Mayapßn riuscirono a rovesciare la signoria di ChichΘn Itzß, affermando cos∞ la propria supremazia su quel territorio.
Mayapßn venne costruita nel segno del ôserpente piumatoö Kukulkßn e la disposizone degli edifici fa pensare ad una ChichΘn Itzß di dimensioni minori: il centro cerimoniale comprende la Piramide di Kukulkßn, il Tempio dei Guerrieri con sale colonnate, un Tempio del Pianeta Venere, un ôCaracolö che serviva da osservatorio astronomico e un Cenote Sacro. Su alcuni edifici si trovano notevoli rilievi in stucco e resti di pitture.
Il potere dei governatori di Mayapßn venne spezzato in maniera violenta, cos∞ come era nato: nel 1441 i nobili della cittα, stanchi della tirannia della dinastia Cocom, si allearono con il gruppo Xi· e uccisero lÆultimo sovrano insieme a tutta la sua famiglia. Da allora lo Yucatßn rimase preda della guerra civile, durante la quale sedici piccoli regni rivali si combatterono ferocemente.
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Nel 1524, sulla scia dei frati Domenicani - considerati i ôpionieriö della conversione degli Indios - giungono in Messico i primi dodici religiosi dellÆOrdine dei Francescani, dapprima attivi nellÆaltopiano centrale ed in seguito nello Yucatßn.
Il loro fervore e la durezza con la quale procedettero allÆevangelizzazione appare evidente dalle chiese-fortezze che essi costruirono nei luoghi strategici della conquista, a Muna, Sotuta, Yaxcabß, Tabi, Izamal e Teabo. I Francescani erano insieme predicatori, politici, architetti e giudici: nelle cronache vengono ricordati i violenti ôautodafΘö ed i metodi inquisitori dei frati, che suscitarono scompiglio e disperazione tra la popolazione tanto che gli indigeni preferivano suicidarsi che vivere nel terrore.
Rimase celebre lÆôatto di fedeö del Vescovo Diego de Landa, prezioso osservatore e cronista della civiltα indigena, ma anche implacabile nemico dei culti pagani, colui che diede alle fiamme tutti gli antichi Codici maya. Questo rogo avvenne nella piazza antistante la chiesa di Manφ - la cittα porta il nome profetico ôΦ tutto finitoö - che era diventata lÆultima sede dei governanti maya Xi· dopo la distruzione di Mayapßn, i quali si erano alleati con il conquistatore Francisco de Montejo, convertendosi al cristianesimo.
[33461]
La chiesa ed il convento di San Bernardino Sisal a Valladolid pu≥ dare unÆidea della potenza dellÆOrdine dei Francescani nello Yucatßn.
Fondato nel 1552 tra due ôcenotesö maya e terminato nel 1560, il complesso religioso venne concepito in maniera da risultare del tutto autosufficiente: la chiesa, il chiostro e il convento erano costruiti con possenti mura che li facevano assomigliare ad una fortezza, le parti alte dellÆedificio sembravano torri di avvistamento, i vasti orti erano recintati e irrigati con lÆacqua dei pozzi e delle cisterne, anchÆesse protette da muri allÆinterno del convento. Il battistero era in origine una ôcappella allÆapertoö, il luogo deputato alla predicazione per non costringere i restii Indios ad entrare in chiesa.
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La regione collinosa di Puuc, nello Yucatßn settentrionale, ha dato il suo nome allo stile architettonico-decorativo dei monumenti sorti in questa regione. Data la scarsitα delle piogge, la vegetazione non Φ riuscita a sommergere completamente le antiche rovine, per cui le cittα maya hanno potuto conservare in buono stato gran parte dei loro edifici.
Caratteristiche delle stile ôPuucö sono le lunghe costruzioni a pianta rettangolare innalzate su terrazze artificiali, che talvolta si uniscono a formare dei grandi complessi ôa quadrilateroö con una corte centrale a cielo aperto.
La decorazione dei palazzi e dei templi, sebbene risenta dellÆinfluenza della vicina regione Chenes, si alleggerisce limitandosi alle sole parti superiori delle facciate, al di sopra delle porte. Lunghe fasce orizzontali sono ornate da mosaici di pietra a disegni geometrici, intervallati da maschere di Chaac, da figure antropomorfe e zoomorfe e da colonnette puramente decorative.
Anche se lo stile ôPuucö sembra sia iniziato giα nel VI sec.d.C., la sua massima diffusione e il suo grande splendore vengono raggiunti intorno allÆXI secolo, nel periodo Postclassico, quando vengono creati i grandi complessi palaziali di Uxmal.
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Per la conoscenza della civiltα maya sono indispensabili due libri, scritti in tempi diversi e con intenti differenti.
Il Popol Vuh (da ôVuhö, libro, e ôPoopö, stuoia, cioΦ ôLibro di coloro che siedono sulle stuoieö o ôLibro del Consiglioö) Φ il testo sacro dei Maya QuichΘ del Guatemala ed Φ la trascrizione in lingua quichΘ a caratteri latini di un antico libro geroglifico perduto giα prima della conquista spagnola e perci≥ trasmesso per via orale. Il Popol Vuh raccoglie la mitologia, la genesi e la storia del popolo QuichΘ, nonchΘ le testimonianze delle migrazioni e dei contatti con le culture olmeca, tolteca e maya yucatena. AllÆepoca della stesura, alla metα del XVI secolo, il popolo QuichΘ era giα stato conquistato dagli Spagnoli e la dottrina cristiana aveva piantato le prime radici. ôScriveremo ormai sotto la legge di Dio, il Cristanesimoö - afferma lÆautore indio - ôlo trarremo in luce perchΘ non si vede pi∙ il Popol Vuh.ö
Nei primi anni del Settecento, il frate domenicano Francisco XimΘnez riceve dagli Indios il sacro libro fino ad allora gelosamente nascosto, che trascriverα in lingua quichΘ e tradurrα in spagnolo, censurando per≥ alcune parti che non gli sembravano compatibili con la fede cristiana.
I libri del Chilam Balam sono invece una raccolta di cronache maya in dodici quaderni, di cui otto - i libri di Chumayel, Tizimφn, Kßva, Ixel, Tekax, Nah, Tusik e il Codice PerΘz di Manφ - sono stati tradotti e studiati. I libri furono redatti in lingua maya yucatena nel XVI secolo, dopo la conquista spagnola, e contengono testi di carattere religioso, storico, cronologico e profetico. LÆinfluenza spagnola e le conoscenze scientifiche acquisite dopo la conquista appaiono chiaramente da numerose trattazioni che riguardano gli studi di astronomia ed i testi letterari. Le testimonianze religiose e storiche provengono invece dalle antiche fonti orali maya-yucatene.
Il nome trae origine da ôChilamö, un titolo che veniva dato ai sacerdoti che interpretavano le volontα divine e che significa ôcolui che Φ boccaö, mentre ôBalamö era il nome di un sacerdote di Manφ, vissuto poco prima della conquista e celebre per le sue profezie, tra cui quella sullÆarrivo degli spagnoli.
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Il primo che cerc≥ di decifrare la scrittura maya fu il vescovo spagnolo Diego de Landa alla metα del XVI secolo, ma dovranno passare tre secoli prima che vengano avviati rigorosi studi scientifici per comprendere gli antichi glifi.
Alla fine dellÆOttocento gli studi vertono intorno ai superstiti Codici maya (attualmente se ne conoscono quattro, tutti redatti in epoca postclassica), ma la difficoltα maggiore deriv≥ dal fatto che gli studiosi cercavano di interpretare quei testi basandosi sul sistema sillabico e fonetico occidentale.
In realtα il sistema di scrittura maya Φ un sistema misto, in parte ideografico e in parte fonetico, come comprese il russo Yuri Knorosov negli anni Cinquanta, il quale pubblic≥ anche le basi per una grammatica dei geroglifici maya. Per esempio il suono ôTaö pu≥ avere pi∙ significati (avvoltoio, torcia o fascio di bastoni) e quindi ogni concetto avrα un proprio glifo ideografico, ma uno stesso glifo sillabico.
UnÆaltra rivoluzione nello studio della scrittura e della storia maya venne condotta dagli epigrafisti Heinrich Berlin e Tatiana Proskouriakoff che, lavorando in siti diversi (Berlin a Palenque e la Proskouriakoff a Piedras Negras), giunsero alle stesse conclusioni: i numerosissimi glifi presenti su stele ed edifici raccontavano la storia del popolo Maya, descrivendo re, battaglie, sacrifici ed ogni aspetto di quel mondo, mentre fino ad allora si era creduto, basandosi solo sui Codici, che i Maya fossero una popolazione pacifica, dedita esclusivamente ai calcoli astronomici e calendariali.
Attualmente Φ stato decifrato pi∙ dellÆ80% dei glifi maya, grazie anche allÆintenso lavoro dello statunitense David Stuart.
Poter interpretare ci≥ che i Maya hanno lasciato scritto sulle loro pietre non Φ un puro esercizio accademico, ma come dice la storica messicana Maricela Ayala Falc≤n: ôOra conosciamo gli antichi governanti e di molti non sappiamo soltano il loro nome, ma anche che faccia avevano, conosciamo la loro origine, le loro opere, quello che edificarono, contri chi combatterono, con chi si allearono, i trucchi che impiegarono per proteggere il proprio diritto a governare, dove furono sepolti; e alla fine hanno smesso di essere figure mitologiche per trasformarsi in esseri umaniö.
[3391]
La matematica e lÆastronomia erano le scienze nelle quali i Maya eccellevano. LÆUniverso era rappresentato dalla ôCeibaö, lÆöAlbero Cosmicoö: al di sopra dellÆAlbero vi era il Cielo, simboleggiato da un uccello-serpente piumato che regolava lÆordine della natura e del cosmo; la corona dellÆAlbero segnava il punto di contatto tra gli uomini e gli Dei; allÆaltezza del tronco si trovava la terra e tutto ci≥ che riguardava le vicende umane, mentre le radici affondavano nellÆInframondo (ôXialbaö), abitato dai nove ôSignori della Notteö (ôBolon-ti-kuö).
Ai quattro punti cardinali, ognuno caratterizzato da un colore (bianco per il nord, giallo per il sud, rosso per lÆest e nero per lÆovest) veniva aggiunto un quinto punto, quello centrale, di colore verde o blu. Secondo la genesi del ôPopol Vuhö, il Dio-creatore unico ôHunak-Kuö pose sui quattro angoli del mondo i suoi quattro figli - i ôBacabö - per sorreggere lÆuniverso. La terra, invece, veniva rappresentata da un guscio di tartaruga.
Per misurare il tempo i Maya utilizzavano tre sistemi calcolati tramite le osservazioni delle ricorrenze cicliche degli equinozi, dei solstizi, delle eclissi, del passaggio zenitale del sole, della posizione degli astri e delle fasi lunari. Su questa base avevano elaborato un Calendario Rituale (ôtzolkinö) di 260 giorni, composto da cicli di 20 giorni rappresentati da glifi e da 13 cifre, ed un Calendario Solare (ôhaabö) di 365 giorni, suddivisi in 18 mesi di venti giorni ciascuno, pi∙ un breve periodo di 5 giorni nefasti (ôuayebö), chiamati ôgiorni sospesiö o ôperdutiö. La combinazione di questi due calendari veniva incisa con glifi e segni numerici su una ôruota calendariaö.
Inoltre i Maya utilizzavano il cosiddetto ôConto Lungoö, probabilmente inventato dagli Olmechi e perfezionato dai matematici maya. La base del sistema numerico era vigesimale con lÆausilio dello Zero. Le cifre inferiori a 20 erano rappresentate da pallini fino al numero 5, che era invece designato con una barra, mentre il 20 era raffigurato da un glifo a forma di conchiglia o di fiore stilizzato. Tuttavia i numeri da 0 a 20 erano rappresentati anche da glifi a forma di volti, mentre i 18 mesi e i cinque giorni ôeccedentiö del ciclo annuale - ognuno designato con un nome proprio - venivano trascritti con glifi di immagini stilizzate.
I periodi del ôConto Lungoö - che copriva 5125 anni, cioΦ lÆintero ciclo della storia secondo il punto di vista maya - erano sempre raffigurati da glifi e suddivisi in ôTunö (lÆintero anno solare, senza per≥ calcolare i cinque giorni ôsospesiö), composto a sua volta da diciotto ôUinalö (il ciclo di 20 giorni). Sommando 20 ôTunö veniva raggiunta lÆunitα di un ôKatunö che, moltiplicato ancora una volta per venti, diventava un ôBaktunö (400 anni maya).
UnÆera maya era composta da 13 ôBaktunö e gli epigrafisti - trascrivendo i glifi con i loro coeficienti in numeri arabi - hanno potuto calcolare che, secondo il ôConto Lungoö, i Maya stabilirono lÆinizio della loro storia lÆ11 agosto del 3114 a.C. e pensavano che sarebbe terminata il 21 dicembre dellÆanno 2012 della nostra era. La fine di quella grande e antica civiltα arriv≥ per≥ prima del previsto: nellÆanno 1517 sbarcarono sulle coste dello Yucatßn i primi Spagnoli.
[3351]
Un mosaico di popoli si era stabilito nelle regioni intorno a Cittα del Messico, costruendo cittα e centri cerimoniali sulle rive dei laghi, ai piedi dei vulcani e sulle aride terre delle montagne. Dopo la fine della cultura di Teotihuacßn, tre luoghi erano emersi su tutti gli altri: Tula la grande metropoli dei Toltechi, Cholula che vide lÆinfluenza di Mixtechi e Toltechi, e Tzintzuntzan, la capitale del regno dei Taraschi. LÆaltopiano centrale del Messico fu da sempre meta di migrazioni di popoli nomadi che muovevano da settentrione in cerca di migliori condizioni di vita. Una di queste popolazioni furono i ôMexicaö, o Aztechi, che nel XIV secolo si insediarono stabilmente nella Valle di Texcoco e fondarono un impero di enormi proporzioni, riscuotendo pesanti tributi dai regni vassalli. Dopo la distruzione della capitale azteca, Tenochtitlßn, da parte dei Conquistadores, le regioni limitrofe a Cittα del Messico vennero sottomesse alla Corona Spagnola e presto si moltiplicarono i pueblos coloniali e le missioni cristiane.
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Tula, il cui nome significa ôluogo dove crescono i giunchiö, fu la potente capitale dei Toltechi e la patria del sovrano divinizzato Quetzalc≤atl. Abitato da indios Otomφ e nomadi Chichimechi provenienti da nord, il sito viene raggiunto intorno allÆVIII sec.d.C. dai Nonoalchi, una popolazione che veniva dalla Costa del Golfo e che fond≥ il primo insediamento urbano, conosciuto oggi come ôTula Chicoö, la ôpiccola Tulaö. Il nome ôToltecaö, che significa ômaestri costruttoriö, venne dato loro dagli Aztechi, grandi ammiratori di quella civiltα, della quale essi stessi - cos∞ affermavano - erano i discendenti.
In effetti i Toltechi avevano creato unÆarchitettura vigorosa con possenti piattaforme e templi, colonne serpentiformi, pilastri istoriati e statue di guerrieri simili ad ôatlantiö, alte quasi cinque metri, che sorreggevano il tetto del ôTempio della Stella del Mattinoö, dedicato a Quetzalc≤atl, fondatore della Grande Tula nellÆanno 968. Popolo guerriero, i Toltechi ornarono i loro edifici con figure di giaguari e aquile, posero nei templi le statue dei Chac-Mool e iniziarono i sacrifici umani su vasta scala: tutti elementi lasciati in ereditα agli Aztechi. Lotte intestine tra i vari gruppi di potere portarono al crollo di Tula: nel 1125 un violento incendio devast≥ la cittα e la popolazione fu costretta a fuggire verso sud, fino a ChichΘn Itzß nello Yucatßn.
Nei secoli seguenti nessuno riusc∞ ad individuare la capitale dei Toltechi descritta nelle cronache azteche e quando, alla fine dellÆOttocento, lo studioso DΘsirΘ Charnay esplor≥ le rovine, sembr≥ una scoperta senza importanza. Soltanto nel 1938 Tula venne riscoperta da Wigberto JimΘnez Moreno e poi scavata sistematicamente sotto la direzione dellÆarcheologo messicano Jorge Acosta.
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Xochicalco, la ôcasa dei fioriö, si trova a sud di Cittα del Messico ed ebbe il suo apogeo tra il VII e lÆVIII secolo, dopo il tramonto di Teotihuacßn. Il Tempio principale, di cui Φ rimasta soltanto la piattaforma base, si trovava sulla ôPiramide di Quetzalc≤atlö, decorata con preziosi rilievi che raffigurano il ôserpente piumatoö.
Xochicalco era il luogo dove si riunivano i sacerdoti astromomi per studiare lÆarrivo del ôFuoco Nuovoö, la data che segnava lÆinizio del nuovo ciclo calendariale di 52 anni. Negli edifici sono state trovate numerose stele scolpite con immagini associate al Dio della Pioggia, Tlaloc, e al Dio benefico Quetzalc≤atl, che rivelano influenze stilistiche zapoteche, totonache e azteche. Nel Campo del Gioco della Pelota Φ stata rinvenuta una rara scultura di ôguacamayaö, un uccello legato al Culto del Sole e alla cosmogonia religiosa.
[33531]
La pi∙ grande piramide del Messico - alta pi∙ di 60 metri - sorge a Cholula, un luogo abitato fin dal IV sec.a.C. che si svilupp≥ contemporaneamente a Teotihuacßn. La gigantesca mole dellÆedificio pu≥ essere scambiata oggi per una semplice collina sulla quale svetta la chiesa di Nuestra Se±ora de los Remedios e gli archeologi hanno dovuto scavare pi∙ di novemila metri di gallerie per ritrovare i sette strati che componevano la piramide.
Cholula era un importante emporio per il commercio dellÆoreficeria mixteca e per la lavorazione delle piume e possedeva una miriade di templi - Hernßn CortΘs ne cont≥ 400 - venerati da Toltechi e Aztechi. La ôvisitaö che gli Spagnoli fecero a quella cittα rimase tristemente famosa negli annali: CortΘs fu ricevuto con tutti gli onori, ma - ingannato dagli informatori e credendosi in trappola - ripag≥ la cortesia con una strage, massacrando gli abitanti e distruggendo la cittα.
Dopo la Conquista giunsero a Cholula i frati francescani e la cittα venne ricostruita, dotandola al posto dei templi di altrettanti santuari cristiani: secondo la cronaca vi furono erette 365 chiese, una per ogni giorno dellÆanno, di cui oggi ne rimangono circa quaranta, edificate in uno stile barocco-coloniale che ricorda negli elementi scultorei il fervore religioso delle prime conversioni.
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Sul ôCerro de los Idolosö, il colle che sovrasta Malinalco, gli Aztechi fondarono un importante centro cerimoniale scavato nella roccia, raro esempio in Messico di architettura rupestre.
Il luogo venne occupato dagli Aztechi nel 1476 dopo violente battaglie con i principati locali per la supremazia nella Valle di Toluca. Nel 1501 il sovrano Ahuitzotl fece iniziare i lavori di taglio nella roccia che vennero proseguiti dal grande Moctezuma II e che non erano ancora terminati allÆepoca della Conquista spagnola.
Il Tempio pi∙ importante era il ôCuauhcalliö, la ôCasa dellÆAquilaö, dedicato al Sole e destinato alla consacrazione delle confraternite militari, i ôCavalieri dellÆAquilaö e quelli del ôGiaguaroö. LÆinterno del Tempio era di forma circolare con al centro una statua di aquila che veniva illuminata dai raggi del sole nel giorno del solstizio dÆinverno.
Tra i vari edifici che compongono il ôCerro de los Idolosö si trova lo ôtzincalliö, un tempio dove venivano inceneriti i ômessaggeri del Soleö, i valorosi guerrieri morti in battaglia le cui anime si trasformavano in stelle.
Dopo la Conquista, a partire dal 1537, i padri Agostiniani edificarono numerose chiese e monasteri nella regione, tra cui il convento di San Salvador a Malinalco, eccellente esempio dellÆarte austera di quella confraternita che spesso decorava i suoi santuari con pitture monocrome a fini didattici.
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Sulle sponde di un grande lago del Michoacßn, in una terra costellata da vulcani spenti, sorge Pßtzcuaro, ôil luogo delle pietre templariö, la cittα che in passato aveva fatto parte della triplice Lega del regno dei Taraschi, insieme a Tzintzuntzan e a Ihuatzio.
Pßtzcuaro non ha conservato nulla delle sue antiche pietre: la cittα ha un aspetto puramente coloniale, con vaste piazze porticate e grandi palazzi come la ôCasa degli Undici Patiiö, un ex-convento trasformato oggi in Centro delle Arti e delle Tradizioni Popolari.
Il Lago di Pßtzcuaro Φ famoso per il tipo di pesca che vi viene praticato: su barche piatte intagliate nei tronchi dÆalbero i pescatori dellÆisola di Janitzio lanciano le ôuiriposö, le ôreti a farfallaö. TuttÆintorno al lago vi sono piccoli villaggi caratteristici con case dai pilastri di legno finemente intagliati.
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Tzintzuntzan, ôil luogo dei colibr∞ö, era una delle capitali della Lega Tarasca, creata nel XIV secolo dal re Tarißcuri che era riuscito a riunificare le trib∙ della regione.
Su una grande terrazza artificiale che domina il Lago di Pßtzcuaro si erge una piattaforma rettangolare, lunga quasi mezzo chilometro, con cinque ôYacatasö. Le ôYacatasö sono strutture circolari costruite con pietre piatte incastonate le une sulle altre che servivano a sostenere i templi, anchÆessi rotondi e protetti da un tetto conico ricoperto di foglie di palma.
Le ôYacatasö erano rivestite da lastre di pietra vulcanica ed erano intervallate da scalinate che portavano sulla cima. Ai piedi di uno dei basamenti ellittici sono state scoperte due tombe con scheletri di uomini e donne, sepolti insieme a ornamenti di ossidiana e rame e pipe di terracotta: queste ultime erano oggetti in uso soltanto presso i Taraschi e probabilmente ereditati dalle popolazioni delle terre settentrionali con le quali intrattenevano rapporti di scambio.
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La terza capitale dei Taraschi era Ihuatzio, il ôluogo del coyoteö in cui sorgeva un ampio centro cerimoniale, cinto da imponenti fortificazioni con camminamenti.
Nella cittα venivano venerati gli Dei pi∙ importanti dei Taraschi: il Dio del Fuoco ôCuricaueriö, la Madre Terra ôCueraußperiö, il Padre Sole ôTata Uriataö e la Madre Luna ôNata Cutziö. Durante le esplorazioni del vasto sito, gli archeologi hanno rinvenuto i resti di tre basamenti circolari di templi (le ôYacatasö), unÆaltra struttura rotonda che forse serviva da osservatorio astronomico e due possenti piattaforme gemelle che si stagliano contro il cielo e le acque argentee del Lago di Pßtzcuaro.
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Gli altipiani del Michoacßn sono costellati di vulcani spenti, ma talvolta se ne generano di nuovi: lÆultima ônascitaö Φ avvenuta il 20 febbraio del 1943, quando un contadino - del quale si ricorda anche il nome, Dionisio Pulido - ha visto la terra spaccarsi davanti ai suoi occhi e uscire fumo e cenere dalle zolle del campo. Il contadino spaventato fugg∞, ma riusc∞ a dare lÆallarme ai villaggi vicini.
Il vulcano - chiamato poi Paricutφn, ôci≥ che Φ davanti a noiö - emerse dalle viscere della terra raggiungendo in poco tempo 410 metri di altitudine, mentre le eruzioni laviche durarono dieci anni, seppellendo villaggi e campi, ma senza fare vittime umane. Oggi il vulcano, con la sua mole nera, si erge in mezzo ad un paesaggio lunare, continuando a gemere di tanto in tanto.
I villaggi sommersi possedevano dei monumenti pregevoli, come si pu≥ vedere dalla Parrocchiale di Santiago Apostolo di Angahuan - lÆunico borgo superstite della zona - e dai campanili barocchi di una chiesa, miracolosamente sopravvissuti in mezzo al campo di lava e diventati meta di pellegrinaggio per le popolazioni vicine. Uomini, donne, bambini, vecchi e malati affrontano il difficile cammino tra le masse spigolose di lava per pregare e cantare davanti ad un altare rimasto incastrato tra le nere rocce: sono scene di un tale fervore religioso che sembra siano uscite da un film di Bu±uel, il grande regista vissuto a lungo in Messico.
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LÆaltopiano dello Stato di Hidalgo era anticamente abitato da popolazioni Otomφ, Nahua e Huastechi che vennero poi sottomesse dagli Aztechi nel XV secolo. ╚ una terra ricca di miniere dÆargento, rame, oro, mercurio, piombo e zinco, ampiamente sfruttate dai primi colonizzatori spagnoli.
Ancora oggi le cittadine dellÆHidalgo, come ad esempio Zimapßn, mostrano i segni della passata ricchezza dei dominatori. Nel cuore della cittα, in posizione elevata, furono erette chiese maestose per attirare e tenere sotto controllo la popolazione che altrimenti viveva in piccoli nuclei sparsi sulle montagne.
AllÆepoca spagnola risalgono anche alcune grandiose opere pubbliche, come lÆacquedotto del padre agostiniano Tembleque, costruito tra il 1554 e il 1571 e che stende i suoi giganteschi archi per 45 chilometri attraverso le aride terre della regione.
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Antica capitale degli indios Otomφ, Ixmiquilpan venne raggiunta dai missionari spagnoli nel 1550 che vi fondarono la chiesa di San Michele Arcangelo - uno dei pi∙ interessanti edifici religosi degli Agostiniani - costruita in stile rinascimentale con reminiscenze plateresche.
Nel 1960 vennero scoperti, sotto lÆintonaco bianco, dei meravigliosi affreschi policromi che raffigurano guerrieri indigeni in lotta con esseri mitologici, unico esempio di questo genere nella pittura religiosa. Non Φ ancora stato chiarito se il ciclo voglia rappresentare storie bibliche o cristiane espresse con un linguaggio iconografico comprensibile agli indigeni, o se si tratti invece di una narrazione india che ha trovato spazio tra le mura di una chiesa. Certo Φ che lÆautore dei dipinti doveva essere un artista che ben conosceva le tradizioni precolombiane.
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Terra di forti contrasti tra aride catene montuose e fertili valli, il QuerΘtaro Φ sempre stato di difficile accesso per chiunque volesse dominarlo: vi abitavano gruppi di indios Otomφ e di agguerriti Chichimechi che spesso scendevano a valle e distruggevano le missioni agostiniane appena create dopo la Conquista.
Nel Settecento vennero inviati nella regione i frati Francescani con lo scopo di pacificare le trib∙ indigene e di convertire una popolazione assai ribelle e poco attratta dal messaggio cristiano. Gli Indios continuavano infatti a venerare le loro divinitα telluriche e a mantenere il culto delle anime dei defunti che, secondo le loro credenze, vagavano tra gli esseri umani seminando il terrore.
I Francescani costruirono nelle valli una fitta rete di missioni, utilizzando la manodopera indigena e lasciando che elementi delle tradizioni popolari affiorassero tra i simboli cristiani.
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La chiesa di San Giacomo di Jalpan Φ una delle cinque missioni realizzate dai Francescani nella Sierra Madre orientale. La costruzione venne iniziata nel 1751 al posto di un edificio agostiniano ormai distrutto e smantellato.
La facciata barocca Φ certamente opera di scalpellini e artisti indigeni e mostra una serie di figure di santi e simboli cristiani di fattura popolare ma di grande pregio. Negli ornamenti predominano gli elementi vegetali, mentre le figure umane sono viste come ibridi che si fondono con simboli zoomorfi e antropomorfi.
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Nella Valle della Sierra Gorda, in cima alla cittadina di Landa de Matamoros, venne eretta nel 1745 la chiesa di San Domenico e San Francesco che rappresenta il monumento per eccellenza alla fede, alla caparbietα e alla ferrea volontα dei frati Francescani.
La facciata barocca della chiesa, dipinta in un luminoso colore rosso, Φ sovraccarica di figure e simboli, eseguiti con mano esperta da artisti indigeni in collaborazione con i missionari. Le scene, che raffigurano Santi, angeli e la passione di Cristo, sono narrate con una vivacitα inusuale e con grande realismo e ricordano le pagine di un libro miniato. Il chiaro-oscuro delle nicchie, delle cornici e dei capitelli fa risaltare le singole figure nei loro atteggiamenti ieratici ed ispirati che sono propri della cultura religosa popolare, ma non per questo di minore valore artistico.
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La storia dei Toltechi Φ un intreccio di leggende e realtα che ci sono state tramandate dagli Aztechi, grandi estimatori di quella popolazione di cui ammiravano lÆarte e lÆarchitettura.
La civiltα tolteca si era sviluppata negli altipiani centrali nel periodo di transizione tra la cultura di Teotihuacßn e lÆarrivo degli Aztechi, tra il IX e il XII secolo, ed era composta da un lato da gruppi dÆorigine chichimeca di ceppo nahua, e dallÆaltro da Nonoalchi provenienti dal Golfo del Messico e cultori di Quetzalc≤atl.
Questo nuovo popolo cos∞ costituito cre≥ il primo sistema imperiale, basato sullÆespansione del proprio territorio e sulla riscossione dei tributi.
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La loro capitale, Tula (chiamata dagli Aztechi ôTollßnö, ômetropoliö), venne fondata presumibilmente nel 968 della nostra era, ma qui iniziano a sovrapporsi i fatti storici al mito: le antiche cronache raccontano che il capo nonoalco Mixc≤atl (ôserpente del cieloö), fondatore della dinastia dei Toltechi, giunge nella valle di Anßhuac e sposa la principessa Chimalma (ôscudo giacenteö) che nel 947 dα alla luce Ce ┴catl Topiltzin (ôSignore Uno Cannaö) che diventerα re e fonderα Tula. Egli stesso si riconosce come reincarnazione di Quetzalc≤atl (ôserpente piumatoö), il Dio che dispensa ogni bene agli uomini. Dopo ventÆanni di regno, Quetzalc≤atl viene spodestato dal suo rivale Tezcatlipoca (ôspecchio fumanteö, nonchΘ Dio della Guerra, colui che introduce il sacrificio umano presso i Toltechi), ed Φ costretto a fuggire con il suo popolo a Cholula, dove giunge nel 987. Quetzalc≤atl Φ lÆultimo re teocratico dei Toltechi, dÆora in poi governati soltanto da sovrani-guerrieri. Anche da questa cittα viene cacciato ed inizia cos∞ la diaspora degli esuli Toltechi che dapprima migrano verso la costa del Golfo, a El Tajφn, ed in seguito approdano sulla costa dello Yucatßn dove partecipano alla rinascita di ChichΘn Itzß. Secondo altre fonti, Quetzalc≤atl si dα fuoco trasformandosi nel pianeta Venere, oppure prende il mare su una zattera di serpenti, promettendo di tornare un giorno sulla terra quando riporterα la prosperitα agli uomini. QuestÆultima leggenda Φ alla radice dellÆequivoco creato dallÆarrivo per mare di CortΘs, che viene confuso in un primo momento con il risorto Quetzalc≤atl.
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I Taraschi (che chiamavano se stessi PurΘpecha, ôquelli delle terre pescoseö) riuscirono a resistere a tutti gli assalti degli Aztechi, grazie alle loro cittα fortificate e alla ferrea disciplina militare, ma anche grazie al possesso di armi in rame e ferro, metalli che estraevano dalle numerose miniere del Michoacßn.
[33651]
I Taraschi, di origini misteriose, erano nomadi guerrieri e parlavano un linguaggio con reminiscenze affini alle lingue maya-totonaca, quechua e zuni. La massima divinitα era Curicaueri, il Dio del Fuoco e del Sole, al quale venivano offerti sacrifici umani come testimoniano alcune statue di Chac-Mool trovate nei templi. Il fondatore della civiltα dei Taraschi fu il re Tarißcuri che, allÆinizio del XIV secolo, riusc∞ ad unificare le diverse trib∙ e stabil∞ la sua capitale a Pßtzcuaro, sullÆomonimo lago. Alla sua morte il regno venne diviso tra i figli e venne creata lÆinvincibile Lega Tarasca di Pßtzcuaro, Ihuatzio e Tzintzuntzan che riusc∞ a respingere tutte le aggressioni degli Aztechi che ripetutamente avevano tentato di impadronirsi delle ricche miniere.
Con lÆarrivo degli Spagnoli i Taraschi si vestirono di stracci - come era loro costume allÆatto della sottomissione - e vennero per questo chiamati col nome dispregiativo ôCaltzontzinö, ôsandali rottiö. LÆiniziale amicizia con gli Spagnoli fin∞ nel 1530, quando il capitano Nu±o de Guzmßn semin≥ il terrore tra gli indios del Michoacßn con stragi e massacri e uccise lÆultimo sovrano dei Taraschi Tangaxoan II, giα battezzato con il nome di Don Francisco.
Per sfuggire ai lavori forzati nelle miniere gli indigeni sopravvissuti si rifugiarono nelle montagne e soltanto nel 1540 la capitale Pßtzcuaro venne ripopolata tramite lÆopera benefica di Vasco de Quiroga, vescovo del Michoacßn, che riusc∞ a guadagnarsi la fiducia degli Indios, creando collegi, ospedali e scuole di artigianato.
[41]
ôIl Messico Φ cos∞ straordinario, che lß si sperimenta epidermicamente ci≥ che si Φ appreso dai libriö - scrisse il regista russo Sergeij Eisenstein - ô si giunge alla supposizione che il mondo nella sua etα infantile, fatta di regale e indifferente indolenza e di potenza creativa al tempo stesso, debba essere stato come questi altipiani e queste lagune, questi deserti e queste sterpaglie; agli occhi di chi ha visto una volta la vastitα del Messico questo paese appare come il giardino dellÆEden...proprio qui, fra il Golfo del Messico e Tehuantepec.ö
[4011]
In Messico i colori della natura gareggiano con quelli dipinti dagli uomini. Non ci si stanca mai di ammirare le infinte sfumature del cielo dallÆazzurro profondo al grigio-celeste, il candore delle maestose nuvole, il verde smeraldo delle foreste tropicali, il rosso delle pietre, i neri massi di lava e lÆoro del sole: sono tutti colori e sensazioni cromatiche che si ritrovano nelle opere prodotte dallÆuomo, negli oggetti artigianali, sui tessuti degli Indios e sulle facciate delle case.
I vestiti dei contadini sono talvolta poveri, le case non sempre sono di architettura eccelsa, ma lÆamore per i colori brillanti - scelti con cura e con un gusto per gli accostamenti fantasiosi e inusuali - fanno di ogni abito unÆopera dÆarte e di ogni casa una reggia.
[4022]
Il sacro ôGioco della Pallaö - Pelota in spagnolo - Φ stato praticato da tutte le culture mesoamericane fin dallÆalba dei tempi.
I primi campi da gioco risalgono alla civiltα Olmeca, la pi∙ antica del Messico, e il rituale venne poi trasmesso ai Maya, agli Zapotechi, ai Totonachi e agli Aztechi.
Le gare si svolgevano tra due giocatori o due squadre avversarie e, al termine della partita, i perdenti venivano sacrificati agli Dei mediante lÆestrazione del cuore e per decapitazione.
[4021]
Il gioco era associato ad unÆantica leggenda narrata nel libro dei Maya ôPopol Vuhö che racconta il mito dei Gemelli Divini Hunahpu e Xbalanque: il loro padre aveva infastidito gli Dei dello Xibalba (il mondo sotterraneo), giocando per troppo tempo a palla con suo fratello e per punizione venne decapitato. Era riuscito tuttavia ad ingravidare una delle figlie degli Dei dellÆInframondo che in seguito diede alla luce due gemelli. Hunahpu e Xbalanque si vendicarono della morte del padre ricomponendo i resti del suo cadavere sepolto tra gli spalti del campo da gioco e combattendo contro gli Dei dello Xibalba per cacciarli per sempre dal mondo degli uomini.
Il gioco Φ legato anche al culto del Sole che deve rinascere ogni giorno abbandonando le tenebre: il campo da gioco rappresenta la terra, mentre la palla simboleggia il sole, per cui il giocatore che lascia cadere la palla deve essere sacrificato perchΦ ha impedito al sole di sorgere di nuovo.
Il campo da gioco - che in lingua nßhuatl Φ chiamato ôteotachtliö che significa ôluogo sacro della pelota degli Deiö - poteva essere costruito a forma di T maiuscola, con alti spalti dalle pareti inclinate - come a Dainz∙ o a El Tajφn - oppure delimitato da muri verticali come a ChichΘn Itzß. La palla era di resina gommosa, poco pi∙ grande di una nostra boccia, e doveva rimbalzare tra i giocatori che non potevano usare le mani, ma soltanto le natiche, i fianchi e i gomiti. I bersagli erano dischi di pietra o anelli fissati in alto sulle pareti laterali.
A seconda della tradizione locale i giocatori erano vestiti con costumi particolari: gli Zapotechi portavano un casco a forma di testa di giaguaro, dei lunghi guanti, pantaloni corti, fasce di cotone e ginocchiere. Nella cultura di El Tajφn - che possiede ben 14 Campi per la Pelota - la corazza protettiva era costituita da paracolpi sui fianchi, sul petto, sulle ginocchia e sui gomiti. Si suppone che alcuni oggetti di pietra, finemente scolpiti e rinvenuti in vicinanza dei campi, fossero legati al sarcificio finale, oppure rappresentassero simbolicamente alcuni elementi della corazza: i ôjugosö - dei massicci ôgioghiö che proteggevano il ventre (nella realtα i cinturoni erano fabbricati in cuoio o cotone); le ôpalmasö, a forma di ventaglio o foglia, che forse corprivano il petto, e le ôhachasö, delle torce piatte scolpite con profili umani o animali, il cui uso Φ incerto.
[4032]
La cerimonia dei ôVoladoresö - ôtocotinesö in lingua totonaca - risale al periodo preispanico e veniva celebrata dalle popolazioni del Golfo - Huastechi e Totonachi - e dai Maya QuichΘ del Guatemala.
Il rito, probabilmente legato al culto della fertilitα, si Φ conservato fino ad oggi, poichΘ non venne proibito dai missionari spagnoli che credevano si trattasse di un semplice gioco acrobatico e non di una cerimonia religiosa.
[4031]
Cinque ôVoladoresö vestiti di bianco e di rosso, con un copricapo a punta ornato da frange dÆoro e specchietti, si radunano verso il tramonto intorno ad un palo alto circa 20 metri e iniziano una danza al suono di un flauto di canna e di un tamburello. Mentre la musica continua gli uomini arrampicano in cima allÆalbero dove si trova una minuscola piattaforma girevole e qui, legati ai piedi da una fune, si gettano di spalle nel vuoto, allargando le braccia come ali di uccelli che si librano nellÆaria, fluttuando lentamente e silenziosamente verso terra.
Nei culti antichi i ôVoladoresö invocavano i quattro punti cardinali attirando su di sΘ gocce di pioggia e raggi di sole e - prima di atterrare - dovevano compiere 13 giri e 52 rotazioni riferite al Calendario Solare e al Ciclo ôSecolareö degli Aztechi. In alcune occasioni i ôVoladoresö si travestivano con piume e maschere e durante il rito veniva sacrificato un prigioniero, colpito dalle frecce come gli uccelli.
[4041]
Dal Golfo allÆOceano Atlantico, dal Mar Caraibico allÆOceano Pacifico, tutte le coste del Messico sono esposte alla violenza degli uragani che si scatenano nei mesi estivi, ma nel resto dellÆanno, tra novembre e maggio, le spiagge sono un paradiso di bellezze naturali per i turisti di tutto il mondo.
[40411]
La costa del Quintana Roo sul Mar dei Caraibi Φ la pi∙ amata dai subacquei che si inabissano nelle acque cristalline per scoprire le meraviglie della barriera corallina.
Nel Periodo Classico e Postclassico la regione era densamente popolata dai Maya che resistettero tenacemente allÆoccupazione dei Conquistadores e di tutti gli stranieri che cercavano di impadronirsi di quelle terre. LÆisola di Cozumel e la Isla Mujeres furono raggiunte nel lontano 1518 dagli Spagnoli, che per≥ dovettero combattere aspre battaglie prima di poter colonizzare la vasta Penisola dello Yucatßn.
LÆultima resistenza maya risale alla metα dellÆOttocento, quando, durante la ôGuerra delle Casteö tra bianchi, meticci e indigeni, i Maya riuscirono ad occupare la fortezza di Bacalar: la rivolta venne domata soltanto nel 1901 dallÆesercito federale messicano che pose fine allÆultimo capitolo dellÆindipendenza maya.
Le meraviglie della costa caraibica sono state ôscoperteö nel 1961 da Jacques Cousteau durante le sue esplorazioni sottomarine intorno alla barriera corallina e da allora le isole, le spiagge ed i palmeti si sono trasformati in centri turistici di forte richiamo.
La cittα di Canc·n Φ stata costruita nel 1970 sui resti di un antico sito maya del quale nulla Φ rimasto ed oggi, con i suoi alberghi modernissimi, i ristoranti tipici, i bar, gli impianti sportivi e i parchi di divertimento, costituisce il maggior polo di attrazione della costa. Ma basta allontanarsi dalla folla e scendere verso la Laguna di Bacalar per ritrovare lÆatmosfera autentica del Mar Caraibico: spiagge isolate, palme, animali esotici, capanne e amache che invitano a godersi in pace questo ôparadiso tropicaleö.
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Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi lungo la costa del Golfo del Messico Φ stato determinante per lo sviluppo economico di regioni come il Tabasco e il Tampico. Nonostante la parziale industrializzazione, le lunghe spiagge deserte, le lagune, il clima mite e la vegetazione tropicale continuano ad attirare i turisti che possono godersi una villeggiatura tranquilla tra mare ed escursioni culturali nelle terre degli Olmechi e dei Totonachi.
Sulla costa del Golfo, allÆaltezza di Zempoala, approd≥ nel 1519 Hernßn CortΘs con la ferma intenzione di colonizzare il Messico: per impedire che i suoi uomini avessero ripensamenti, il Capitano fece incendiare le sue navi al largo della baia di Veracruz, tagliando lÆunica via per il ritorno. Successivamente Veracruz divenne il pi∙ importante porto per i velieri e per le navi mercantili sulla rotta tra lÆEuropa e lÆAmerica Latina, un tragitto assai pericoloso, perchΦ infestato dai pirati fino allÆOttocento.
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Con i suoi deserti, i nudi picchi montuosi, le spiagge bianche e le scogliere vorticose sfiorate dal passaggio delle balene, la penisola di Baja California Φ certamente la regione pi∙ spettacolare dellÆOceano Pacifico. Da Tijuana, al confine con la California statunitense, a Cabo San Lucas (poco al di sotto del Tropico del Cancro) il ôriftö si allunga per ben 1663 chilometri.
Abitata fin dalla preistoria, Baja California venne scoperta nel XVI secolo da Hernßn CortΘs che sbarc≥ nei pressi di La Paz, ma non riusc∞ a vincere gli Indios ostili: la colonizzazione avvenne soltanto nel XVIII secolo con lÆaiuto dei missionari Gesuiti. Oggi milioni di turisti - in maggioranza statunitensi - giungono ogni anno negli esotici luoghi di villeggiatura e affollano i porti, attrezzati per accogliere le navi crociera e una moltitudine di yachts.
La penisola Φ separata dalla terraferma da un ampio tratto di mare, il Golfo di California, che bagna le regioni costiere della Sierra Madre. Le spiagge pi∙ frequentate della costa Pacifica continentale si trovano tra Puerto Vallarta, Acapulco e Puerto Escondido. Acapulco, con i suoi alberghi lussuosi e clubs esclusivi raggruppati intorno ad unÆincantevole baia a forma di mezzaluna, Φ una delle mete turistiche pi∙ famose del mondo. Uno dei poli di maggior attrazione Φ la ripida scogliera di Quebrada, alta 40 metri, dalla quale spericolati tuffatori si lanciano ogni giorno tra le onde impetuose.
In pieno sviluppo turistico Φ la costa dellÆOaxaca, tra Puerto Escondido e Puerto Angel, un tempo tranquilli villaggi di pescatori conosciuti soltanto ai viaggiatori ôalternativiö e agli amanti della natura selvaggia e incontaminata.
Poco oltre si incontra lÆIstmo di Tehuantepec, la parte pi∙ stretta del territorio messicano che separa di appena 200 chilometri lÆOceano Pacifico da quello Atlantico. NellÆOttocento gli Spagnoli avevano progettato di scavare un canale tra i due Oceani, ma furono battuti sul tempo dagli ingegneri francesi e americani che iniziarono i lavori del Canale di Panama, facendo cos∞ abbandonare lÆaudace piano messicano.
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Le statistiche ufficiali dicono che il 90% della popolazione messicana professa la religione cattolica e questa cifra Φ convincente se pensiamo alla secolare presenza della chiesa che fin dagli albori della Conquista ha aperto le sue missioni in tutto il territorio.
Ai vari Ordini religiosi era affidata la conversione, la propagazione della fede, lÆeducazione civile e religiosa, lÆalfabetizzazione ed il controllo familiare e sociale, eppure la radicale evangelizzazione non Φ riuscita a cancellare le antiche credenze ed i riti apotropaici e propiziatori - rivolti al sole, alla pioggia, agli alberi, alla terra - che riaffiorano ancora nelle celebrazioni, nelle danze e nelle feste popolari, con grande disappunto delle istituzioni ecclesiastiche ufficiali.
La fusione tra cattolicesimo e spiritualitα india si manifesta specialmente durante i ferventi pellegrinaggi ai santuari sorti sui luoghi dei miracoli (specialmente alla ôMadonna di Guadalupeö, apparsa agli Indios nel 1531), nei rituali delle feste religiose, nella venerazione di tanti altarini improvvisati tra le rocce e sugli alberi e nella devozione mostrata ai Santi, ricoperti di ex-voto e presenti un poÆ dovunque nelle chiese e nelle case.
A molti Santi vennero dati attributi che risalivano agli antichi Dei e la pratica del sacrificio e delle offerte era talmente radicata nellÆanimo popolare che i primi sacerdoti cristiani si videro costretti ad accettare i doni della terra - polli, mais, frutti, fiori, pane - portati sugli altari in memoria dei vecchi culti.
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Una volta lÆanno, nel mese di luglio, gli Zapotechi che abitano le valli e la costa dello Stato di Oaxaca si danno appuntamento sul Cerro del Fortφn per la festa della ôGuelaguetzaö - una parola che significa ôdonoö o ôoffertaö - che anticamente era dedicata alle divinitα Centeotl (protettrice del mais maturo) e Xilonen (Dea del mais acerbo).
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In origine la festa culminava con un rituale sacrificio di sangue, ma i Padri Domenicani trovarono un rimedio a questa pratica: calcolando che la festa della ôGuelaguetzaö cadeva il giorno della ôVergine del Carmenö, fecero costruire al posto del ôteocalliö pagano un altare per la Madonna, permettendo di celebrare il rito in nome della cristianitα, ma senza spargimento di sangue.
La festa si svolge tuttÆoggi in un orgia di colori tra danze, musiche ossessive, offerte di frutti, fiori e cibi di ogni genere e culmina con la ôdanza della piumaö, una cerimonia in memoria del genocidio degli Indios: Φ un ballo faticoso, eseguito con gesti solenni e salti vorticosi, con uomini dalla faccia tesa, attenti a non perdere lÆequilibrio nelle giravolte che rischiano di far cadere i magnifici copricapi a ruota ornati di piume ed emblemi di regalitα.
La ôGuelaguetzaö ha radici profonde nella societα zapoteca, poichΦ il ôdonoö rappresenta un atto di mutua assistenza tra i gruppi familiari di una popolazione che ancora adesso preferisce lo scambio - di oggetti, di lavori domestici, di alimenti - al risparmio e allÆaccumulo di monete. Questi ôcreditiö in natura hanno aiutato gli Zapotechi a sopravvivere ai soprusi della Conquista, allo sfruttamento delle autoritα, alle carestie, alle epidemie e ai disastri naturali che flagellano la regione.
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In occidente le popolazioni indigene vengono chiamate sbrigativamente ôIndiosö, ma questa parola Φ troppo generica per spiegare la moltitudine di etnie che vive in Messico e che si distingue per tradizioni, costumi e linguaggi.
Si tratta per la maggioranza di popolazioni rurali, anche se le difficili condizioni di vita, la crisi agricola e, di conseguenza, lÆemarginazione hanno sconvolto profondamente lÆequilibrio ambientale e demografico del Messico, dove il miraggio della grande cittα ha fatto svuotare le campagne.
Huichol, Mazahua, Tzotzil e Tzeltal, Chol, Lacandoni, Otomφ, Zapotechi, Mazatechi e Tarahumara sono soltanto alcune delle 50 culture preispaniche sopravvissute alla Conquista. Ognuna di queste etnie appartiene ad un gruppo linguistico diverso nel quale la popolazione si esprime tuttÆora - tra cui il Nßhuatl che costituisce la seconda lingua del Messico dopo lo Spagnolo. Molti villaggi sono costruiti ancora secondo le tecniche tramandate dagli antenati, gli abitanti si vestono con i costumi tradizionali e molti di essi praticano riti ancestrali dove si mescolano elementi cristiani e pagani.
Nella diversitα delle sue popolazioni e tradizioni consiste la ricchezza del Messico, un patrimonio spirituale, umano e materiale che rischiava di sparire a causa dellÆeterno conflitto tra la classe dominante - dÆorigine spagnola e meticcia - e gli Indios, considerati a lungo cittadini ôminoriö. Ci≥ ha portato ad una grave emarginazione e allÆesclusione dalla vita sociale ed economica, un errore al quale si tenta ora di porre rimedio con studi approfonditi sulla materia e con nuove leggi protettive.
Una delle poche risorse di sopravvivenza Φ lÆartigianato, di varietα e bellezza straordinarie. LÆarte popolare fa ormai parte delle grandi collezioni private e pubbliche: al Museo Antropologico di Cittα del Messico unÆintera sezione Φ dedicata allÆEtnologia con costumi, manufatti, oggetti di cultura materiale e ricostruzioni ambientali.
Sui volti seri degli Indios, eredi delle antiche civiltα, Φ scritta lÆintera storia del Messico e vi si legge la dignitα, la consapevolezza della propria identitα, ma anche la fatica e la sofferenza per tante ingiustizie patite nei secoli.
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Negli Anni Venti si forma in Messico il movimento dei pittori di ôMuralesö, i cui i maggiori esponenenti sono Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e JosΘ Clemente Orozco. I ôMuralesö nascono come pittura di denuncia sociale e sono volutamente figurativi, monumentali, coloratissimi e pieni di elementi popolari: doveva essere una pittura comprensibile a tutto il popolo che doveva prendere coscienza della travagliata storia del Messico, ad iniziare dagli splendori delle passate civiltα allÆoppressione degli Indios, per arrivare fino alla lotta per lÆindipendenza e alla rivoluzione.
La radice del fervore con cui si voleva visualizzare il grido di libertα di un intero popolo va ricercata nella militanza politica degli autori nelle file della sinistra - nel 1919 fu fondato il Partito Comunista messicano - che trov≥ lÆappoggio di un folto gruppo di intellettuali e uomini politici che commissionarono gli affreschi per decorare gli edifici pubblici, come il Palacio Nacional di Cittα del Messico, i municipi delle capitali federali ed i palazzi ministeriali. ôDobbiamo elogiare lÆarte monumentale in tutte le sue forme perchΦ diventi patrominio pubblicoö - scrisse Siqueiros in un manifesto di quegli anni - ôI creatori di bellezza devono impegnare tutte le loro forze affinchΦ possano produrre opere ideologiche per il popolo.ö
Proprio a causa dellÆideologia a fini didattici il valore artistico dei ôMuralesö Φ stato a lungo sottovalutato dalla critica occidentale ed i pittori sono stati accusati di fare troppe concessioni al realismo sociale e alla propaganda a discapito della capacitα creativa. Il movimento dei ômuralesö prosegu∞ anche dopo la Prima Guerra Mondiale, perdendo in parte il radicalismo politico del primo periodo, e vide tra i suoi autori degli ôoutsiderö come Rufino Tamayo e Juan OÆGorman.
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In principio era il mais, e poi vennero i fagioli, i pomodori, le zucche ed i peperoncini: erano questi gli alimenti base delle antiche popolazioni preispaniche e lo sono tuttÆora. Molti piatti, che oggi possiamo gustare sulle tavole messicane, risalgono al tempo degli Aztechi anche se la cucina moderna vi ha operato delle varianti.
Tutto il mondo conosce le ôtortillasö, le sottili focacce di farina di mais impastate con acqua e cotte su piastre roventi. La ôtortillaö non viene servita soltanto come pane: riempita di verdura e carne diventa un ôtacoö, immersa nella salsa piccante del chile Φ unÆôenchilladaö, farcita di formaggio e fagioli fritti viene chiamata ôquesadillaö e spalmata con tutti questi ingredienti insieme Φ un succulento ôburritoö.
Le specialitα gastronomiche ed i modi di preparazione dei cibi variano moltissimo a seconda delle diverse regioni e dei frutti che vi crescono: tra i piatti pi∙ gustosi vi sono la ômole poblanaö (salsa di Puebla) con tacchino salmistrato e cotto in una salsa di cioccolato, e la ôguacamoleö, un purΘe di avocado condito con spezie da gustare come antipasto o contorno.
I mercati del Messico sono una gioia per gli occhi e per il palato: frutti esotici succosi e dai colori brillanti vengono accatastati ad arte accanto a montagne di peperoncini, legumi secchi e noci di cocco e dappertutto sale lÆodore delle verdure e delle carni arrostite su grandi teglie di ferro che servono per preparare i ôtacosö. E non bisogna dimenticare il cacao (una parola che deriva dal maya ôcacawö), una pianta considerata sacra dagli antichi, portata sulla terra dal Dio Quetzalc≤atl e irrigata dal Dio Tlaloc. La bevanda ricavata dai chicchi di cacao (in azteco ôchocolatlö, un nome adottato poi in tutto il mondo) veniva usata nei cerimoniali dedicati al Dio Ek Chuah.
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ôSombreri, ponchos e cactusö costituiscono lÆimmagine stereotipa del Messico vista e ripetuta allÆinfinito nel cinema e nella televisione: sombreri e ponchos esistono ma appartengono ora quasi esclusivamente alle terre settentrionali, mentre i cactus crescono effettivamente in abbondanza in tutte le regioni aride del paese.
Scultorei, imponenti, spinosi, panciuti, slanciati, aggrovigliati, carnosi, i cactus - di cui si conoscono circa 4000 specie diverse - disegnano un paesaggio fantastico, poco ospitale e difficile da attraversare. Molte piante sono commestibili come il ôpitahayaö (il frutto del cactus ad organo), le foglie di ônopalö e le ôgusanos de magueyö, le punte di una varietα dÆagave dalla quale si ricava anche il ôpulqueö, una bevanda fermentata fortemente alcoolica che costituisce la base per il ômezcalö e la ôtequilaö.
I Maya veneravano la divinitα ôMayahuelö, protettrice delle agavi, una pianta che forniva anche una fibra, il ôsisalö, usata per intrecciare stuoie e per tessere stoffe grossolane. Gli Spagnoli, che introdussero i cactus come piante ornamentali in Europa, rimasero cos∞ sorpresi dai molteplici usi che ne facevano gli indigeni da chiamare la pianta ôalbero delle meraviglieö.
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Il pantheon degli antichi Dei preispanici Φ sconfinato. Ogni singolo aspetto della natura veniva considerato sacro e adorato come divinitα benefica o malefica. Era comune la dualitα degli essere divini, che spesso potevano manifestarsi in molteplici forme, maschili o femminili, umane o animali.
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La divinitα solare Itzamnß era il ôKinich Ahauö, il Dio Supremo dei Maya, progenitore dei sovrani e benefico verso gli uomini. Il suo nome significa ôcasa del rettileö e per questo veniva rappresentato con attributi di serpente ed in seguito fu associato a Kukulkßn-Quetzalc≤atl, il ôserpente piumatoö. Il suo doppio femminile era la dea Ixchel, ôSignora dellÆarcobalenoö, protettrice delle partorienti, della medicina e della tessitura.
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La ôdonna serpenteö Coatlicue, raffigurata anche come Cihuac≤atl, era considerata la madre degli Dei e a lei venivano sacrificate molte vittime. Era la protettrice delle donne morte di parto, divinizzate anchÆesse e compagne demoniache della Dea. Coatlicue rappresentava sia il Cielo che lÆInframondo e presiedeva dunque alla vita e alla morte.
Ad essa va associata anche Tonacacφhuatl, la ôSingora della nostra carneö, e Omecihuatl la ôSignora della dualitαö, le dee primordiali che generarono le quattro divinitα principali, i Tezcatlipoca azzurro, bianco, rosso e nero, cioΦ Huitzilopochtli, Quetzalc≤atl, Xipe T≤tec e Tezcatlipoca.
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Dio del Sole e della Guerra, Huitzilopochtli Φ la divinitα suprema degli Aztechi che lo adorarono inzialmente in veste totemica: un coltello sacrificale di selce avvolto in un pezzo di stoffa. A lui sono dedicati la maggior parte dei sacrifici di sangue, necessari per farlo rinascere ogni giorno come astro solare. Al Dio viene associato anche Xiuhc≤atl, il ôserpente di fuocoö che rappresenta i raggi del sole, la siccitα e il fuoco ed Φ anche lÆarma con la quale Huitzilopochtli uccide i suoi fratelli e la sorella.
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Il ôDio Vecchioö, o ôSignore del Fuocoö, HuehuetΘotl era la divinitα azteca che proteggeva la cerimonia dellÆaccensione del ôFuoco Nuovoö ed il suo ônahualö, il suo alter ego, si manifestava nellÆapparizione zoomorfa del ôserpente di fuocoö. Il Dio, che forse aveva un predecessore tra le divinitα zapoteche, Φ spesso rappresentato mentre sorregge un braciere o diventa braciere egli stesso ed era venerato in tutte le case come simbolo del focolare.
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Associato al Dio Chaac dei Maya e al Dio Cocijo degli Zapotechi, il Tlaloc azteco Φ una delle divinitα pi∙ importanti del pantheon preispanico, dispensatore delle acque, della pioggia e della feconditα della terra. Il suo nome originario Φ ôTlalloccantecuhtliö il ôSignore del posto dove sgrogano le acqueö che vive nel paradiso ôTlallocanö dove vanno le anime dei guerrieri e dove si nasconde la Luna durante il giorno. Rappresentato spesso con una maschera di giada e adorno di piume, fiori e gioielli, Tlaloc riceve numerosi sacrifici umani, soprattutto di bambini.
La versione femminile - o sposa - di Tlaloc Φ Chalchiuhtlicue, ôquella della gonna di giadaö, la Dea delle acque che scorrono, come il mare ed i fiumi, ed Φ rappresentata spesso sul dorso di una tartaruga.
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Tonatiuh Φ un dio solare, rappresentante il ôQuinto Soleö, lÆera nella quale vivevano gli Aztechi. Il suo culto era prerogativa esclusiva della casta sacerdotale. Il suo volto compare al centro della ôPietra del Soleö dove Φ rappresentato con la lingua fuori dalla bocca, in attesa del sangue delle vittime sacrificate.
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Xolotl, il ôgemello preziosoö, Φ lÆalter ego di Quetzalc≤atl e viene rappresentato spesso come un cane mostruoso che simboleggia il pianeta Venere nella sua fase serale. Nel mito della creazione Xolotl rifiuta di uccidersi insieme alle altre divinitα per far in modo che il Sole e la Luna possano compiere il proprio cammino ed Φ perci≥ il simbolo di chi Φ incapace di commettere autosacrificio. Tuttavia Φ un Dio potente che scende negli Inferi per riportare le ossa degli antenati sulla terra per far rinascere gli uomini allÆinizio del ôQuinto Soleö.
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Nonostante il suo aspetto grave, Xochipilli Φ il Dio azteco della primavera, dellÆamore, dellÆarte e dei fiori. Protettore dei giovani, il Dio insegnava la musica, la danza e la poesia e sovrintendeva al gioco della pelota. Il suo simulacro, adorno di petali di fiori e farfalle, veniva venerato da artisti e agricoltori.
[41191]
Il Dio azteco della rinascita e delle stagioni Φ Xipe T≤tec, ôNostro Signore Scorticatoö, che appare mentre indossa una pelle umana, poichΦ lo scorticamento simboleggiava la fine delle cose vecchie e la nascita di nuove cos∞ come fa la terra nello scorrere delle stagioni.
Xipe T≤tec era anche il protettore degli orafi, forse perchΦ la pelle delle vittime sacrificate seccandosi si tingeva di color dÆoro.
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Coyolxauhqui, ôquella che ha il viso ornato da sonagliö Φ la personificazione della Luna, la sorella uccisa da Huitzilopochtli, colei che vive di notte e muore ogni giorno al sorgere del sole. Molte altre divinitα erano legate alle fasi lunari e cambiavano sembianze a seconda che la luna fosse crescente o calante. Una delle immagini che simboleggia la luna Φ un coniglio stretto tra le braccia di una divinitα, in quanto gli Aztechi credevano di scorgere nella luna piena la figura di quellÆanimale.
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Le divinitα legate alla bevanda sacra e rituale del Pulque sono numerose, ma la pi∙ importante Φ Mayahuel, la ôDea dalle 400 mammelleö che protegge le libagioni alcooliche e nutre i suoi 400 figli, tutte divinitα dellÆubriachezza. Nel mondo azteco il pulque veniva chiamato ôoctliö ed era riservato alle cerimonie sacre, mentre lÆubriacchezza fine a se stessa poteva venir punita anche con la morte.
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Come lÆacqua, anche il mais - il pi∙ importante alimento delle popolazioni preispaniche - aveva numerosi protettori divini, tra cui Chicomec≤atl, la Dea ôSette Bisciaö che sovrintendeva al sostentamento degli uomini, ma era anche apportatrice di carestie. Ogni fase della crescita della pianta aveva un sua divinitα perculiare: Xilonen era la Dea del Mais tenero, mentre Centeotl (presso i Maya Yum Xac) era la Dea del Mais maturo, colei che aveva partecipato alla creazione impastando gli uomini con il mais.
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Numerose erano le divinitα legate allÆInframondo, i nove ôSignori della Notteö dei Maya, tra cui Yum Cimil, rappresentato con aspetto scheletrico e accompagnato da animali notturni come il gufo, e Puhatun, un Dio dallÆaspetto senile che sporge da una conchiglia.
Il loro corrispondente azteco era MictlantΘcuhtli, raffigurato spesso nellÆatto di danzare. Un altro dio mostruoso era Tlaltecuhtli, il ôSignore della Terraö che inghiottiva il sole alla sera e lo restituiva allÆalba. Divinitα eminente durante i sacrifici di sangue, a lui erano dedicati i cuori delle vittime.
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Nella travagliata storia del Messico emergono molti personaggi dalle pi∙ diverse origini, con le loro ombre e le loro luci, spesso stranieri che si sono trasferiti nel vasto paese per impadronirsi di terre e di uomini, chi con le armi, chi con le parole. Dei sovrani preispanici sappiamo poco, dobbiamo affidarci agli antichi codici o essere capaci di interpretare i glifi, mentre la letteratura Φ generosa di biografie e memoriali dei conquistatori, dei missionari e dei rivoluzionari che rivelano personalitα dalle molteplici sfaccettature.
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LÆultimo grande sovrano degli Aztechi - il cui nome era Motecuhzoma Xocoyotzin, ôSignore Arrabbiatoö, ma che gli europei trascrissero come Montezuma o Moctezuma - sale al trono nel 1502, intenzionato a risollevare le sorti del vasto impero che sta attraversando un momento di crisi. Sarα un sovrano saggio e giusto fino al fatale incontro con Hernßn CortΘs nel 1519.
In pochi anni Moctezuma riesce ad ampliare i confini, a bloccare il calo demografico abolendo la ôGuerra dei Fioriö e a ristabilire lÆassoluta supremazia del suo regno, anche se molte province gli rimangono nemiche per i gravosi tributi che sono costrette a pagare.
Nel 1506, insieme ad altri fenomeni funesti, appare in cielo una cometa che nΘ Moctezuma nΘ i suoi sacerdoti riescono ad interpretare, ma che in qualche modo viene collegata al temuto ritorno del Dio Quetzalc≤atl che poterα la pace e la prosperitα agli uomini, ma che detronizzerα il Re. Quando CortΘs giunge dal mare con le sue navi, Moctezuma Φ irriquieto - potrebbe trattarsi di Quetzalc≤atl o di un suo emissario - e manda incontro agli stranieri varie delegazioni di ambasciatori con ricchi doni che cercano di persuadere CortΘs a tornare da dove Φ venuto.
Invece CortΘs prosegue la sua marcia e nel 1519 si trova davanti a Moctezuma che egli descrive come un ôsignore barbuto che possiede, riprodotte in oro, argento, pietra e piume tutte le cose che esistono sulla terraö. Gli Aztechi basavano i loro rapporti sulla dialettica, tanto che il titolo regale ôtlotoaniö significa ôcolui che parlaö, ma Moctezuma - descritto dal cronista Diego Durßn come ôun retore e oratore nato che quando parlava conquistava gli altri con le sue frasi raffinate e seduceva con i suoi profondi ragionamentiö - questa volta tace: la rinnucia alla comunicazione Φ un simbolo della sconfitta. Molto si Φ discusso sulla titubanza di Moctezuma di affrontare gli Spagnoli, numericamente cos∞ inferiori. La ragione Φ forse da ricercare nella ôreligiositαö di Moctezuma che crede nei segni e nellÆinevitabilitα del destino, per quanto terribile sia.
Per gli Aztechi non cÆΦ modo di fermare i drammatici eventi che seguiranno, come se questi fossero giα stati scritti nella storia: la strage nel Templo Mayor, lo sterminio di migliaia di messicani, le malattie e il crollo dellÆimpero azteco. Moctezuma viene arrestato e costretto a placare lÆanimo dei sudditi, esortandoli ad ubbidire agli stranieri. Durante la sommossa che segue il massacro dei nobili nel Tempio, Moctezuma viene ferito - secondo alcuni da una pietra lanciata dalla folla, secondo altri da una coltellata di un soldato spagnolo - e poco dopo muore e con lui la civiltα antica.
LÆangoscia di Moctezuma per le sorti del suo popolo viene espressa con chiarezza nelle parole delle cronache azteche trascritte da Bernardino de Sahag·n: ôCosa possiamo fare noi, uomini nobili? Siamo ormai perduti, abbiamo ormai inghiottito la morte... Mi addolora il pensiero dei vecchi e delle vecchie, dei bambini e delle bambine che non hanno possibilitα nΘ esperienza per difendersi...cosa mai possiamo fare? Nati noi siamo, accada ci≥ che deve accadereö.
[521]
Ottimo capitano, buon soldato, uomo dal carattere rude e battagliero, crudele e coraggioso, Hernßn CortΘs impersona come nessun altro la figura del ôconquistadorö. Fedele al Re di Spagna e religioso quanto basta, CortΘs cerca la ricchezza per sΘ e per la sua patria ed Φ invaso dallo spirito di avventura che lo spingerα a non fermarsi mai, neanche dopo la tremenda vittoria sugli Aztechi a Cittα del Messico.
La nascita di CortΘs Φ controversa: cÆΦ chi lo vuole di discendenza nobile e chi lo descrive come un uomo di umili orgini, piuttosto istruito e adatto alla vita militare. Nel 1504 viene inviato a Santo Domingo e poi a Cuba dove inizia il suo rapporto burrascoso con il governatore Diego Velasquez, che prima lo mette agli arresti e poi gli affida la terza spedizione in Messico, dopo i falliti tentativi dei capitani Francisco de C≤rdoba e Juan de Grijalva.
Nel 1519 CortΘs approda a Cozumel dove recupera il naufrago spagnolo Jer≤nimo de Aguilar e riscatta una schiava di nobili origini, la ôMalincheö (o ôDo±a Marinaö), che diventerα sua compagna e interprete, un ruolo ambiguo che vede la donna oscillare tra la fedeltα al suo popolo, lÆodio verso gli Aztechi e il tradimento in favore degli Spagnoli. Sulla costa del Golfo il capitano viene accolto amichevolmente dai Totonachi che diventano suoi alleati nella guerra contro lÆimpero azteco. Nel frattempo il governatore di Cuba si pente di questa spedizione e cerca di richiamare CortΘs che in tutta risposta fa incendiare le proprie navi e fonda simbolicamente la cittα di Veracruz, dichiarandosi sotto la diretta autoritα del Re di Spagna e proseguendo la marcia verso Cittα del Messico.
La conquista di Tenochtitlßn avviene a due anni dalla partenza, nellÆagosto del 1521. Cittα del Messico diventa la capitale della ôNuova Spagnaö e CortΘs Φ nominato governatore. Lasciando dietro di sΘ una popolazione stremata dalla guerra e dimezzata dalle stragi e dalle malattie portate dagli Europei, CortΘs parte con le sue truppe alla conquista di tutte le terre dominate un tempo dallÆimpero azteco, spingendosi fino in Honduras.
Nel 1528 CortΘs, ormai ricco ma poco stimato per il suo carattere indisciplinato e per alcune presunte irregolaritα amministrative, Φ richiamato in Spagna dove gli viene tolta la carica di governatore. Dopo pochi mesi riparte per il Messico con il titolo di Marchese della Valle di Oaxaca. Il nuovo VicerΦ ha poca simpatia per CortΘs, il quale preferisce imbarcarsi con le sue truppe alla ricerca di nuove terre e nel 1535 scopre la California.
Ma il Re lo rivuole in Spagna per combattere in Algeria, una sfortunata spedizione che vede lÆesercito spagnolo sconfitto, e CortΘs decide di ritirarsi a vita privata nella sua proprietα a Castileja di Cuesta dove muore del 1547. La sua salma, come CortΘs ha chiesto prima di morire, verrα inviata a Cittα del Messico e tumulata nella chiesa di Ges∙ Nazareno. Di lui rimangono le cinque lunghe lettere inviate a Carlo V che compongono la ôRelazione della conquista del Messicoö, redatte tra il 1519 e il 1526.
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Bernal Dφaz del Castillo ci ha tramandato la pi∙ attendibile e dettagliata cronistoria della conquista del Messico, scritta a distanza di anni da quellÆimpresa e pubblicata soltanto postuma. Dφaz si discosta profondamente dagli altri cronisti di quellÆepoca: evita la ôglorificazioneö di CortΘs e dα spazio anche agli altri protagonisti della storia, descrivendo i caratteri ed i comportamenti sia dei compatrioti che degli avversari.
Nato tra il 1492 e il 1496 e figlio di un notabile di Medina, Bernal si imbarca per le Indie come semplice soldato nel 1514 al seguito del capitano Pedro de Davila e partecipa alle spedizioni di Francisco de C≤rdoba e di Juan de Grijalva. A Cuba incontra Hernßn CortΘs e con lui parte alla conquista del Messico. Probabilmente a quel tempo non aveva intenzione di scrivere le sue memorie e, si dice, che il suo grado dÆistruzione di allora fosse piuttosto elementare.
Dopo la distruzione di Cittα del Messico, Bernal riceve in dono terre e schiavi, ma preferisce continuare a seguire CortΘs nelle esplorazioni che lo porteranno fino in Honduras. Quando nel 1528 CortΘs viene richiamato in Spagna, Bernal Dφaz del Castillo passa alcuni anni vagabondando per il Messico alla ricerca di qualche lavoro e commissione e ritorna in patria due volte, nel 1540 e nel 1550, per sposarsi e per reclamare i benefici che gli spettano come ôconquistadorö.
Infine si stabilisce a Santiago del Guatemala dove inizia la stesura dellÆôHistoria verdadera de la conquista de Nueva Espa±aö (ôVera storia della conquista della Nuova Spagnaö) con lÆintenzione di confutare le memorie del cappellano di CortΘs, Francisco Lopez de G≤mara, che Bernal considera inesatte. In effetti la relazione di Dφaz ridimensiona notevolmente la figura eroica di CortΘs e vi sono parole favorevoli - sempre nei limiti della mentalitα dellÆepoca - anche per Moctezuma e per gli Indios.
Bernal Dφaz del Castillo muore in Guatemala tra il 1581 e il 1584, dopo aver inviato in Spagna il suo manoscritto che verrα pubblicato in versione corretta ed epurata nel 1632. La copia originale ed integrale viene ritrovata in Guatemala soltanto nel 1840.
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Santificato dagli Indios, avversato in patria, il frate domenicano BartolomΘ de Las Casas Φ un personaggio singolare nella storia della Conquista, dotato di grande umanitα e animato da forte senso critico verso lÆoperato della Corona spagnola e della Chiesa stessa.
Nato nel 1484 da genitori di origine ebraica (poi convertitisi) che avevano partecipato alla seconda spedizione di Cristoforo Colombo, BartolomΘ diventa uno dei primi sacerdoti che predicano nel ôNuovo Mondoö: partito dapprima per Haiti e poi per Cuba come cappellano dei Conquistadores, nel 1510 riceve in beneficio terre e schiavi. Colpito dallo sfruttamento e dalla schiavit∙ alla quale sono sottoposti gli indigeni, abbondona la vita privilegiata e si erge come il pi∙ fervente difensore degli Indios denunciando pubblicamente lÆaviditα dei governanti locali.
Nel 1516 scrive un primo memoriale sui misfatti dei conquistatori che verrα esposto alla corte di Carlo V come ôRelazione della distruzione delle Indieö e che contiene pagine talmente raccapriccianti che il Re cattolico si vede costretto a modificare alcune leggi delle colonie, vietando dÆora in poi la schiavit∙ ed i lavori forzati gratuiti. Queste riforme per≥ verranno in seguito sospese per le proteste degli ôecomenderosö.
Dopo aver rifiutato una diocesi a Cuzco in Per∙, BartolomΘ diventa nel 1543 vescovo del Chiapas nella cittα che per gratitudine aggiungerα al proprio nome quello del sacerdote: San Crist≤bal de Las Casas. Il clima di ostilitα, fomentato da quelli che egli chiama ôgli aguzzini, agitati da cieca ambizione e diabolica bramaö, lo costringe a tornare nel 1552 in patria, dove si dedicherα alla preparazione dei giovani missionari.
Sempre pi∙ convinto che lÆunico metodo per avvicinare i nativi alla fede cristiana sia la dolcezza e la parola di Dio e non i battesimi forzati e ottenuti con il terrore, BartolomΘ de Las Casas si ritira in un convento domenicano di Madrid dove muore a 82 anni nel 1566.
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Subito dopo la conquista di Cittα del Messico, la Spagna invia nel ôNuovo Mondoö i suoi missionari con il compito di convertire gli Indios, di educare i giovani della nobiltα azteca e di fondare chiese e monasteri. Uno di questi missionari Φ il frate francescano Bernardino de Sahag·n, laureato a Salamanca, che giunge a Cittα del Messico nel 1529.
Sahag·n ha 30 anni e nel primo periodo della sua permanenza si dedica allo studio della lingua ônßhuatlö di cui diventa il pi∙ profondo conoscitore, tanto da venir chiamato come interprete nelle udienze dei Consigli ufficiali e nei processi. Nel 1535 diventa insegnante nel ôColegio de Santa Cruzö dove ha tra i suoi allievi numerosi nobili, sacerdoti e sapienti aztechi che a loro volta lo istruiscono sulla storia, sui culti e sui costumi del loro popolo. Nel 1545 Sahag·n decide di spendere la sua vita nello studio delle culture antiche, apparentemente con lÆintento di conoscere bene lÆantica idolatria per meglio combatterla, ma la sua opera va ben oltre: Sahag·n riesce a raccogliere una colossale documentazione riguardo alla retorica, alla morale, alla scienza, ai culti, alla politica, alla flora e alla fauna che ancorÆoggi costituisce il pi∙ prezioso studio sulle culture preispaniche, la ôHistoria general de las cosas de Nueva Espa±aö (ôStoria generale della Nuova Spagnaö) ed il ôCodice fiorentinoö.
Sahag·n fa trascrivere i racconti ed i codici istoriati in ônßhuatlö ed in messicano con caratteri latini e cura la traduzione in castigliano. I manoscritti vengono inviati in Spagna tra il 1578 e il 1590, anno della morte di Sahag·n, ma sono rimasti inediti fino al 1830.
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Diego de Landa Φ un personaggio scomodo nellÆambito della storia delle missioni. Uomo di grande erudizione ma di scarsa umanitα, difensore ed insieme persecutore degli Indios, Landa si Φ tristemente distinto per atti di inaudita violenza contro gli indigeni che giα soffrivano per la crudeltα e le angherie dei coloni spagnoli.
Nato nel 1524 in Castiglia, Landa entra giovanissimo nellÆOrdine dei Francescani e nel 1549 viene inviato nello Yucatßn, appena conquistato da Francisco de Montejo. Qui impara in breve tempo le lingue maya, riesce a guadagnarsi la fiducia degli Indios e nel 1561 occupa la sede vacante della diocesi di Izamal. Durante il suo peregrinare nel paese, Landa riceve preziose informazioni sulla storia, sulla vita e sui culti dei Maya che egli raccoglie in una serie di scritti, ôRelaci≤n de las cosas de Yucatßnö (ôRelazione dallo Yucatßnö), un libro indispensabile per la conoscenza della cultura e della lingua maya che verrα utilizzato nei secoli seguenti come ôguidaö da esploratori e archeologi.
Nel 1562 Diego de Landa si macchia di un terribile delitto e fino ad oggi rimane inspiegabile come un uomo cos∞ colto si sia fatto trascinare dal fanatismo religioso al punto da commettere una strage: avendo scoperto alcuni idoli pagani vicino al convento di Manφ, Landa organizza una feroce spedizione punitiva, facendo torturare centinaia di persone fino alla mutilazione permanente e alla morte (egli stesso Φ accusato di aver provocato la morte di nove indigeni). I corpi vengono messi al rogo sulla pubblica piazza insieme a 5000 idoli e 27 codici maya ed i pochi superstiti vengono condannati allÆôautodafΦö e ai lavori forzati.
Le stesse autoritα ecclesiastiche sono inorridite dallÆeccesso di zelo di Landa, che viene processato in Spagna, ma infine assolto, poichΦ ha applicato nullÆaltro che ôi metodi coercitivi dellÆInquisizioneö. Nel 1573 torna nello Yucatßn dove prosegue la sua intransigente missione fino alla morte, avvenuta nel 1576.
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A John Lloyd Stephens e Frederick Catherwood si deve la prima colossale documentazione scritta e illustrata delle antichitα della cultura Maya, realizzata alla metα dellÆOttocento, epoca di grandi scoperte archeologiche, ma ancora piena di dubbi e incertezze per quanto riguarda le misteriose civiltα della Mesoamerica.
John Stephens nasce nel 1805 negli Stati Uniti, in una famiglia agiata che gli permette di laurearsi in legge alla Columbia University, di dedicarsi ai libri e di intraprendere diversi viaggi in Europa ed in Oriente. Frederick Catherwood nasce invece nel 1799 alla periferia di Londra da una famiglia borghese, frequenta la scuola locale ed infine si diploma come architetto. LÆavvocato-scrittore e lÆarchitetto-disegnatore si incontrano nel 1835 a Londra e tra di loro nasce unÆamicizia che li porterα a lunghi viaggi espolorativi nellÆAmerica Latina.
Entrambi sono affascinati dalle cronache e dai disegni che illustrano le meravigliose rovine di una civiltα che ancora non ha nome - quella dei Maya - nel Guatemala e nello Yucatßn e, grazie alla carica diplomatica di Stephens, i due riescono ad avere il permesso per soggiornare e per viaggiare in quelle terre. Catherwood armato di penna e blocco da disegno e Stephens del suo diario esplorano per due anni - 1839 e 1840 - le rovine nascoste tra le foreste tropicali del Guatemala e dello Yucatßn, visitando tra mille difficoltα Copßn, Tikal, Uxmal, ChichΘn Itzß, Palenque e centinaia di altri siti fino ad allora sconosciuti. Per poter agire liberamente sono costretti talvolta ad acquistare - grazie ai soldi di Stephens - intere aree archeologiche che allÆepoca facevano parte delle proprietα private dei ricchi ôhacendadosö.
I disegni di Catherwood e le descrizioni delle rovine di Stephens costituiscono il primo ôcorpusö delle antichitα del Messico, pubblicato nel 1844 in versione ridotta: purtroppo il loro progetto di dare alle stampe unÆopera enciclopedica con testi di Stephens, Humboldt, Prescott ed altri si dimostra irrealizzabile per lÆaltissimo costo.
Entrambi tornano da questi viaggi malati di febbre tropicale e il loro sodalizio si allenta: Stephens ha perso interesse per lÆarcheologia e con fatica Catherwood riesce a convincere lÆamico a seguirlo nuovamente in Messico nel 1852. Dopo poco tempo Stephens viene trovato morto sotto una ôceibaö, lÆalbero sacro dei Maya. Catherwood muore due anni dopo, nel 1854, durante lÆaffondamento della nave che doveva riportarlo in California.
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Vero figlio del popolo nato nel 1806 vicino ad Oaxaca in una famiglia di contadini zapotechi, Benito Jußrez Φ lÆuomo della provvidenza che guida il Messico verso la democrazia e le riforme e che riesce a ricostituire la Repubblica dopo la breve parentesi monarchica imposta dalle potenze straniere.
Per fuggire alla miseria il giovane Jußrez studia in seminario per diventare prete, ma poi cambia idea e si laurea in legge per poter difendere i diritti delle popolazioni che abitano nei villaggi della Valle di Oaxaca. Entrato in politica, Jußrez viene eletto come deputato tra le fila del Partito Liberale e, dal 1848 al 1852, diventa governatore dello Stato di Oaxaca, carica che gli permette di intraprendere numerose riforme in campo scolastico.
Costretto per due anni allÆesilio dal regime dittatoriale centrale, Jußrez riappare sulla scena politica nel 1855 e diventa Ministro della Giustizia del nuovo governo liberale: in quella veste riesce a limitare lo strapotere delle autoritα ecclesiastiche - atto che culmina nella cacciata definitiva dei Gesuiti - e delle alte sfere militari. Un colpo di Stato mette fine alle sue iniziative, ma dopo tre anni di Guerra Civile Benito Jußrez torna a Cittα del Messico e viene eletto Presidente: per la prima volta dopo secoli un indio guida il suo popolo.
Per risollevare le finanze del Paese, Jußrez si vede costretto a bloccare il pagamento del debito estero contratto dai suoi predecessori e avallato dalla Francia. Questa manovra offre a Napoleone III il pretesto per invadere il Messico ed imporre sul trono lÆarciduca Massimiliano dÆAsburgo, novello imperatore di breve durata: fucilato lo straniero nel 1867 dalle truppe repubblicane, Benito Jußrez viene eletto nuovamente Presidente, carica che egli ricoprirα fino al 1872, quando morirα a seguito di un infarto.
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Emiliano Zapata, a ottantÆanni dalla sua morte, continua a vivere nel cuore del suo popolo. ╚ lÆuomo che ha preferito farsi uccidere piuttosto che scendere a compromessi e che ha mantenuto fede alla promessa di lottare per la libertα fino allÆultimo.
Emiliano nasce nel 1877 nello Stato del Morelos in una famiglia di ôrancherosö, piccoli proprietari di bestiame, dove impara a domare e ad addestrare i cavalli che rimarranno per sempre la sua passione. Zapata sa leggere e scrivere e diventa il portavoce del suo villaggio che lotta contro le ruberie degli ôhacendadosö, i grandi proprietari terrieri. Quando vede che le promesse governative vengono disattese, raccoglie intorno a sΘ un piccolo esercito di ôcampesinosö male armati che per≥ riuscirα a conquistare, una dopo lÆaltra, le cittα del Morelos.
Organizzatosi e armatosi meglio, Zapata occupa nel 1911 Cittα del Messico, consegnando senza troppa convinzione la capitale in mano allÆideologo della Rivoluzione, Francisco Madero, che diventerα Presidente ad interim. Ma le riforme agrarie non sono sufficienti e, al grido di ôTierra y Libertadö, Zapata continua a scagliarsi contro i latifondisti che ormai lo definiscono ôil mostro scarlatto del sudö.
Per meglio contrastare le truppe federali, Zapata si unisce alla ôDivisione del Nordö guidata da Pancho Villa: insieme marciano nuovamente contro Cittα del Messico, accolti dal popolo come trionfatori. Ma i due ôgeneraliö non sono uomini politici e il governo centrale passa di nuovo in mano a uomini senza scrupoli che si fanno beffe della rivoluzione. Prudentemente Emiliano Zapata mantiene in piedi la sua armata, ma nel 1919 viene attirato in trappola da un colonello traditore: il rivoluzionario e la sua scorta vengono uccisi senza aver tempo di difendersi.
La fine di Zapata Φ macabra: la sua testa decapitata viene portata in trofeo di villaggio in villagio per mostrare che il ôcapoö Φ morto e con lui i suoi ideali.
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Pancho Villa Φ, insieme a Emiliano Zapata, uno dei simboli della Rivoluzione Messicana - la pi∙ clamorosa dellÆAmerica Latina ed anche la pi∙ documentata - che vide la partecipazione di cronisti e fotografi da tutto il mondo. Grande condottiero, uomo schietto e semplice, Villa Φ sempre in prima fila accanto al suo esercito di contadini che gli rimarranno fedeli in tutte le battaglie.
Doroteo Arango - il futuro Pancho Villa - nasce intorno al 1878 nelle aride terre del Durango, nel nord del Messico, da una famiglia di ôpeonesö, semplici braccianti. A 17 anni diventa un fuorilegge dopo aver ucciso il figlio dei padroni dellÆôhaciendaö che aveva violentato sua sorella. Nel 1910, con il nome di Pancho Villa, il ôbandidoö abbraccia la causa della rivoluzione, affascinato da Francisco Madero che promulga il ôpiano di San Luis Potosφö nel quale si chiedono libere elezioni e la riconsegna delle terre ai contadini.
Villa raccoglie intorno a sΘ un esercito eterogeneo fatto di contadini, banditi, soldati, avventurieri statunitensi, canadesi ed europei, tra cui il nipote di Giuseppe Garibaldi. Villa conquista una cittα dopo lÆaltra e riesce a spingersi fino a Cittα del Messico. Quando Francisco Madero sale al potere, Pancho Villa vede esaurita la sua funzione e si ritira a Chihuahua, dove si dedica al commercio, ma nel 1912 riprende le armi per difendere il nuovo governo. I suoi metodi da guerriglia sono malvisti dallÆesercito federale e Pancho viene arrestato e gettato in carcere, dopo impara a leggere e scrivere.
Dopo lÆuccisione di Francisco Madero, Villa riesce a formare un nuovo esercito che, come testa di ponte, usa i treni, carichi di soldati e ôsoldaderasö - madri, sorelle e spose dei combattenti. Nel 1914 Villa, unitosi a Zapata, entra nuovamente a Cittα del Messico carico di speranze. Tuttavia gli ideali rivoluzionari vengono traditi: Zapata viene ucciso in un tranello e Villa accetta di ritirarsi in una piccola ôhaciendaö, dove morirα nel 1923 dopo essere caduto in unÆimboscata.
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La vita artistica e privata di due giganti dellÆarte messicana come Diego Rivera e Frida Kahlo si legge come un romanzo: Φ lÆincontro-scontro tra due personalitα molto diverse tra di loro che esprimono le due anime del Messico, il dolore e lÆesuberanza, il buio e la luce.
Diego Rivera nasce a Guanajuato nel 1886, studia pittura e disegno e tra il 1907 e il 1920 compie numerosi viaggi in Europa: lÆartista pi∙ ôrivoluzionarioö del Messico vive dunque gli anni cruciali della Rivoluzione lontano dalla sua patria.
Frida Kahlo nasce nel 1907 a Coyoacßn da genitori per metα ebrei e per metα meticci e la sorte le prepara una vita difficile: a 6 anni contrae la poliomelite, che la lascia claudicante, e nel 1925 ha un gravissimo incidente che la costringe a sottoporsi a trentacinque operazioni per alleviare i dolori dovuti alle fratture.
I due si incontrano per la prima volta negli Anni Venti alla Scuola Nazionale Preparatoria di Cittα del Messico dove Frida studia pittura. Nel 1929 Rivera e Kahlo si sposano e il loro matrimonio Φ subito scosso da scandali: entrambi hanno numerose relazioni extraconiugali, tra cui quella di Frida con Leon Trotskij, il pi∙ celebre dei rifiugiati politici che popolano in quel periodo il paese e che verrα ucciso nel 1940 da un agente sovietico nella sua casa di Cittα del Messico.
Grazie al mecenatismo di JosΘ Vasconcelos - letterato, filosofo e politico - Diego Rivera diventa il pi∙ celebre e prolifico ômuralistaö del Messico che realizzerα in quarantÆanni una miriade di cicli pittorici: i 235 pannelli che coprono tre piani del Ministero dellÆEducazione, affreschi per lÆUniversitα, per il Palacio Nacional e tanti altri edifici pubblici sparsi in tutto il Messico. Sono pitture gigantesche che raffigurano le antiche civiltα messicane, la Conquista, lÆIndipendenza, la Rivoluzione, lÆera tecnologica e il popolo messicano. Rivera opera anche in America dove viene visto come un ômarxista radicaleö, mentre in patria Φ accusato di essere un ôfalso rivoluzionarioö, ma probabilmente Rivera era soltanto un artista che aveva una visione romantica sia del socialismo che del capitalismo.
Frida, sofferente nel fisico ma ardente nello spirito - Breton la definisce ôun nastro intorno ad una bombaö - dipinge in quel periodo quasi esclusivamente drammatici autoritratti. Lei stessa spiega questo suo ônarcisismo della sofferenza,ö dicendo: ôsono spesso sola e sono la persona che conosco meglioö. La sua unica mostra in vita, sempre allÆombra del gigante (anche fisicamente) Rivera, viene allestita nel 1953 e Frida vi partecipa arrivando in barella.
Nel 1954 Frida muore a Cittα del Messico, mentre Rivera si spegnerα pochi anni dopo, nel 1957. Oltre allÆimmenso patrimonio delle loro opere, la coppia ha lasciato in ereditα la casa-museo ôAnahuacalliö che contiene una ricchissima collezione di oggetti - copie e pezzi autentici - delle civiltα preispaniche.
